domenica 23 dicembre 2012

L'AVVENTO DEI LIBRI. GIORNO 23


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012
Annamaria Gozzi è nata a Reggio Emilia nel 1962. Ha fatto mestieri diversi: consulente del lavoro, erborista-droghiera, copywriter. Attualmente si interessa della ricerca e recupero di memorie e testimonianze. Collabora con il Teatro dell'Orsa alla drammaturgia di spettacoli e alla conduzione di laboratori. Ha scritto racconti e libri per l'infanzia tra cui Fiabe e Storie dal mondo; Pico Rotondo; Coniglio Nero; Il cerchio di Zero; Bambini con le ruote, ovvero sopravvivere alla separazione e La voce del noce. 
Violeta Lopiz, Ibiza, 1980. Ha abbandonato la musica per studiare illustrazione presso la Escuela de Arte nùmero 10 di Madrid. Illustra per bambini e adulti dal 2006 e anche se molti suoi libri sono stati pubblicati da case editrici spagnole (Anaya, Kalandraka, Edelvives, Almadraba, MacMillan) Topipittori è stata la prima ad averle proposto un album illustrato (La coda canterina con Guia Risari, 2010). Sulla sua disordinata scrivania, a Berlino o a Madrid, si possono incontrare: un bicchiere di acqua sporca, un libro di botanica, matite colorate, molti pezzi di carta, un gatto, tanti vecchi pennelli e dei biscotti al cioccolato. 

Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012
Nata a Venezia nel 1926 da Corrado Tumiati, medico scrittore antifascista, e Maria Luzzatto, ebrea, Lucia Tumiati a causa delle leggi razziali fu costretta, con la madre, a vivere nascosta. Successivamente, entrò a far parte delle staffette partigiane per "Giustizia e Libertà", a Padova e Venezia. Laureata in lettere con una tesi su Collodi, ha iniziato a scrivere romanzi, racconti, fiabe e testimonianze per adulti, ma soprattutto per ragazzi e bambini. Nelle sue opere la storia si mescola alla fantasia e la fantasia trova radici nella realtà, senza mai abbandonare l’impegno sociale. La fantasia e l’esperienza di vita, oltre all'amicizia con Gianni Rodari, costituiscono la base di ciò che scrive, e di come lo scrive.  Joanna Concejo è nata nel 1971 a Slupsk, in Polonia e si è diplomata all'Accademia di Belle Arti di Poznan, nel 1998. Attualmente abita e lavora Parigi. Negli ultimi anni è stata selezionata a "Ilustrarte 2005" (Barreiro - Portogallo), "Illustrare Andersen" (Bologna, 2005), "Figures Futures 2006", "Alice e Peter" (Salon du Livre et de la Presse Jeunesse – Montreuil). Nel 2007 è stata fra i 27 illustratori selezionati per la prima mostra internazionale del Blue Book Group, a Teheran. Nel 2005, ha vinto il premio di illustrazione "Calabria Incantata". Con Topipittori ha pubblicato, Il signor nessuno (2008), L'angelo delle scarpe (2009) e I Cigni selvatici di H. C. Andersen (nella traduzione di Maria Giacobbe, 2011).

Ci sono diversi modi di avvicinarsi al senso del Natale. La condivisone della lettura, dai testi sacri a quelli della tradizione, è uno di questi. Due titoli, appena pubblicati dalla casa editrice Topipittori, vanno ad arricchire quello scaffale della biblioteca dell'insolito che piace a me.

Il primo, I Pani d'Oro della Vecchina è una fiaba di origine romanì che Annamaria Gozzi, esperta di fiabe, ha reinterpetato restituendocela in una trascrizione letteraria davvero di valore.

Trovo che tra i pregi di questo libro ci sia quello di favorire la conoscenza di diverse etnie, che solo semplificando possiamo riunire sotto il nome romanì, della cui provenienza, insieme alle tradizioni, usi e valori, sappiamo davvero poco.

I romanì eccellono nella tradizione orale, patrimonio dei popoli nomadi.
Nei loro viaggi hanno mescolato la tradizione dei paesi di provenienza e di quelli che li hanno accolti. Ma per comprendere il valore di questa grande trazione dobbiamo prima chiederci: qual'è realmente la loro origine prima? Da dove vengono? Questa domanda, che sembra banale, per secoli in realtà è rimasta senza risposta e proprio grazie alla loro lingua, il romanì, si è riusciti a risalire alle loro origini.

Quando i romanì  arrivarono in Europa si pensò fosse l'Egitto la terra da dove provenivano. Nella seconda metà del XVIII secolo, alcuni studiosi notarono analogie del romanì con il sanscrito, e più direttamente con la lingua indiana del Punjab e del Rajasthan. Fu così accertato che i romanì, più di mille anni fa, avevano abbandonato l'India, probabilmente in seguito a carestie e che, dopo un periodo di tempo relativamente breve trascorso in Medio Oriente, erano emigrati in massa da est a ovest, verso l'Europa, dove approdavano a metà del Trecento.

Perché vi scrivo questo? Per dirvi, ancora una volta, di quanto il genere fiabesco sia il genere letterario che più di ogni altro favorisce quella che oggi chiamiamo l'"integrazione multiculturale" e che una volta si diceva la convivenza tra i popoli, un'idea che proposta in occasione del Natale mi interessa in modo particolare, inoltre, e per lo stesso motivo, il termine «rom» significa semplicemnte «uomo», «essere umano».

La fiaba, dunque, dicevamo, appartiene in nuce alla tradizione romanì, nella duplice veste: quella d'origine e quella di appartenenza territoriale. Di quella d'origine mantiene la fascinazione di quella indiana, terra fiabesca per eccellenza; delle terre d'accoglienza la derivazione europea. Nelle fiabe romanì i piani temporali sono continuamente spostati o contrapposti, non è l'ordine cronologico a svilupparne la trama, così come vi è un'interrelazione quasi sempre presente tra il mondo terreno e ultraterreno. La morte, attesa, beffeggiata, vinta, accolta come fine ultimo del racconto è uno dei temi portanti.
Seppur l'origine delle fiabe è anche qui popolare, il lieto fine non è la determinante dell'esito del racconto.

Ho incontrato, in passato due versioni simili de I Pani d'Oro della Vecchina: una, la più vicina, La vecchina che ingannò la Morte, di derivazione ungherese, nella raccolta Enciclopedia della favola di Gianni Rodari (Editori Riuniti, Roma, 2002); l'altra, Lo zingaro e la morte, di derivazione russa, nella raccolta Fiabe Zingare di Wiernicki (Rusconi libri, Milano, 1995). 
Gli editori raccontano della genesi di questo libro, e molto altro, qui.


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

La vecchina pensava che la Morte si fosse dimenticata di lei. Ma un giorno, verso Natale, alla porta della casa bislacca, bussa un’ospite inattesa: un’Ombra Scura che vorrebbe portarsela via. Ma, niente da fare: la sopraffina pasticcera deve preparare i dolci di Natale, che nessuno sa fare meglio di lei. L’Ombra si indispettisce, poi però ne assaggia uno, poi un altro... E si accorge di non aver mai provato niente di simile. 


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Il sapore dolce e speziato scompigliò la Morte, il pane sapeva tanto di Vita. Ma lei si era spinta fin lì solo per fare il suo dovere, perciò, dopo aver leccato anche l'ultima traccia di zucchero, si preparò a riempire il sacco.
Per la vecchina, però, non era ancora il tempo di lasciare la cucina.
«Solo un ultimo momento. Tolgo le mandorle dal forno altrimenti bruceranno». E con momenti veloci estrasse un vassoio bollente colmo di mandorle e nocciole.
Ancora un po' stordita, la Morte socchiuse appena gli occhi e lasciò che quel gusto di frutta abbrustolita le entrasse nelle narici così che la pelle vuota del viso si gonfiò un pochino.
Divertita, la vecchina le offrì una mandorla ambrata e bollente. «Squisita,» disse la Morte masticando «Ma non mi farò incantare un'altra volta, ormai il tuo Pane Dolce l'ho mangiato. Non perderò altro tempo. Vieni con me. Adesso». © Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz, op. cit., Topipittori, 2012.

Il Pane dolce, i torroni, il croccante alle noci, le caramelle di sesamo e miele, le castagne glassate, i mandarini... la descrizione delle leccornie che la Vecchina prepara per i bambini è magistrale, vera e a me molto cara.

Dovete sapere che a casa mia i preparativi per il Natale cominciavano a novembre. Meglio, nello specifico, al piano secondo di casa mia, mia nonna Giulietta era una maestra di quello cha da noi si chiama Pane di Natale. Al piano primo, mia nonna Enza era laureata in tortellini e tortelli, dolci e fritti e al forno con la marmellata, e torta all'amaretto. Ora, io e mia sorella, anzi in ordine di età prima mia sorella e poi io, avevamo i pomeriggi precettati per le preparazioni. Tenete conto che donare un dolce, era un gesto di affetto intimo e molto gradito al tempo e i regali erano la concretizzazione di un pensiero e di un tempo dedicato prima di altro, anche per via dei soldini. Preparare il Pane di Natale era un'esperienza complessa, fatta di piccoli gesti e ingredienti dosati a memoria. Una volta pronto veniva messo nel forno che troneggiava in solaio e che era stato un regalo dei nozze fatto ai miei genitori. Ora, poiché la sordità di mia nonna, ricordo della "Spagnola", non le permetteva di sentire lo squillante campanello che sanciva la fine della cottura, e se avete vissuto con una persona sorda sapete quanto la sua sensibilità si fidi poco delle orecchie altrui, il compito che per anni mi fu affidato era quello di stare seduta di fianco al forno a vegliare sul punto di rossore giusto che avvolgeva il Pane di Natale. Lo facevo con berretto, guanti e libro alla mano. Dio solo sa quanto ho letto in quei giorni. Al piano di sotto, invece, la cottura delle prelibatezze al forno avveniva nella "Petronilla", prodigioso marchingegno attaccato alla presa elettrica in grado di sfornare cose eccelse, sprovvista però di qualsiasi mezzo di avviso che non fosse una rotonda finestrella posta in cima al coperchio che la sovrastava. Anche lì, provvista invece de I Quindici, bibbia infantile di mia nonna Enza, ero l'addetta che vegliava lo spioncino della cottura. Così per me, ogni anno, nonostante il tempo passato, i libri che leggo in questo periodo sanno ancora quel profumo lì: di solaio, di saba, di Pane di Natale, di Sassolino e di Quindici, che non so i vostri ma i miei conservano ancora un odore inconfondibile che neanche lo sbattimento del terremoto gli ha portato via.

Per dirvi che, come scrive Annamaria Gozzi, i dolci di Natale sanno più di ogni altro, di Vita. E in questo racconto, dalla perfezione circolare, la Vita e la Morte si incontrano e  si fondono nel giorno di Natale in quella perfetta consonanza che non lascia posto alla tristezza ma a un profondo senso di compimento di qualcosa di più grande che avviene sotto gli occhi dell'infanzia. Tutto questo non sarebbe stato possibile in questo libro senza il lirismo offerto dalle indimenticabili illustrazioni di Violeta Lopiz, qui visibilmente ispirata.


Annamaria Gozzi/Violeta Lopiz,
I Pani d'Oro della Vecchina,
© Topipittori, Milano, 2012

Anche Una stella nel buio è un racconto di Natale, tangenziale se volete, ma per molti motivi è così. Uno di questi, il più semplice, ma è un regalo e ve lo dico subito, è il racconto che fanno qui i Topipittori, una chicca per gli appassionati di illustrazione e di Joanna Concejo, del ricevimento avvenuto lo scorso anno giusto in questo periodo della Moleskine di Joanna contenente il lavoro preparatorio delle illustrazioni del libro. Un  vero gioiello.


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


L'altro, il più profondo, è il racconto che Lucia Tumiati fa di un bambino speciale avvolto nel mistero. E il mistero, come bene scrivono qui  gli editori nel momento di proporne in forma sintetica la trama, è la vera anima del libro che può solo essere trovata tra le pagine di quello che è un incontro perfetto tra le immagini di Joanna e la lirica di Lucia.
Le illustrazioni di Joanna Concejo sono squarci, aperture su altri racconti altre memorie, sono dentro e fuori le pagine di questa storia, questo "libro". Non invadono mai il racconto, lo lambiscono, lo annotano, lo segnano con sottolineature, finestre per pensieri e visioni altre che attraversano l'atmosfera sospesa del racconto.


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


Due ragazzi si incontrano. Sono due pastori, in comune hanno molto: camminano scalzi, vivono in una catapecchia, hanno dei fratelli. Ma uno è strano, misterioso, inafferrabile e dolce, diverso da tutti gli altri. Sta sempre solo. Parla come non parla nessuno. E dice cose che vanno contro tutto ciò che gli adulti pensano e dicono. Al ragazzo più piccolo questo fa un po’ paura, però stare con quel ragazzo triste, pronto a difenderlo e ad aiutare gli altri, gli piace. Perché stare in due amici davanti alla luce della fiamma, è bello. Perché è bello che fra due ragazzi cresca una solidarietà semplice diretta che sembra nascere dalla terra e dal fuoco, dal silenzio e dalla paura. 


Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012
Nel rispetto del mistero, e degli editori, il brano scelto per presentarlo:
Il cielo è pieno di stelle, grandi stelle luminose che sembrano voler scendere sulla terra, a toccarci, a prenderci per mano. Credo che non esista al mondo un cielo stellato più splendente di questo nostro. Mi piacerebbe camminare nei sentieri, con una stella fra le mani, al posto della lanterna. I cammellieri certo sono guidati bene, nel deserto, da questo mare di stelle. Quando devo andare a controllare le bestie, per vedere se sono rientrate tutte nei recinti, per vedere che nessun animale da preda sia entrato fra di loro, mi piacerebbe che sui pali del mio piccolo regno ci fossero le stelle. Forse avrei meno paura. Anche perché spesso il vento mi spegne la lanterna e io devo camminare al buio, battendo con il bastone sui sassi, per riconoscere i passaggi, orientarmi, non battere contro gli alberi che mi si parano davanti.
Qualche volta ho visto muoversi delle persone, nel buio della notte. So che i lebbrosi preferiscono girare al buio, perché nessuno li veda, e nessuno giri la testa da una parte per lo schifo e la paura dei loro volti devastati. So che se incontro qualcuno posso bisbigliare uno “scialom” quasi a scongiurare un agguato. Per solito nessuno mi risponde, e le ombre scivolano via, misteriose. C'è tutto un mondo di persone che vivono di notte. Ci sono i viandanti, coloro che non chiedono l'elemosina ma si spostano di villaggio in villaggio, rubacchiando nei campi, chiedendo asilo a qualche pastore. Ci sono certi mercanti, che per paura di farsi vedere, di giorno, e di essere derubati, girano la notte, portano sacchi, spingono bestiame, ma foderano anche il bastone di stracci, perché battendo sui gropponi delle bestie non faccia rumore. Poi ci sono i ladri, e i loro occhi scintillano, nel buio, come lampi. Io dico scialom e stringo il bastone. Forse dalla voce essi si accorgono che sono un bambino e mi lasciano in pace. Una sola volta ho trovato un tale che mi ha preso a pedate nel sedere.«Va a casa, moccioso spione. Altro che scialom. Te lo do io uno scialom che te lo ricordi per un pezzo» e giù un calcio tremendo.
Ho perso la lanterna. È caduta per terra e si è rotta. Ho mollato il bastone e sono corso a casa, ficcandomi a letto senza dire niente a nessuno.Se le stelle fossero state sul mio sentiero, non si sarebbero rotte e forse mi avrebbero difeso. Ma un ragazzo non può avere una stella tutta per sé. O almeno così
credevo.
Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012


Ieri notte sono dovuto uscire per il solito giro di controllo. Arrivato alla curva, dove per solito incontro il mio amico triste, ho visto del chiarore, verso le rocce. Mi sono detto «vado o non vado a vedere cos'è? E se fosse un fuoco? Potrei avvertire i pastori, la gente. Potremmo fare in tempo a spegnerlo prima che devasti le messi che sono ancora nei campi».Sono avanzato piano, alzando la lanterna per allargare il giro della luce e vedere più lontano. Lui, il mio amico, era seduto in una grotta. Aveva acceso un piccolo fuoco, ed erano le scintille, i barbagli di quel fuocherello che si diffondevano nell'oscurità, facendo come tremare le ombre, tutto intorno.Lui era lì seduto, e si teneva le ginocchia abbracciate, il mento su di esse. Aveva un rotolo di pergamena, accanto, ma lui guardava il fuoco.Mi ha sentito arrivare e - sempre tenendo la testa sulle ginocchia - si è girato verso di me, guardandomi senza sorridere, attraverso le scintille.
«Ciao, ho avuto paura - gli ho detto ridendo - meno male che sei tu».«Paura? - mi ha chiesto - che cos'è la paura?»«Sembra che tu viva sulla luna e non sappia le cose più semplici. Paura è quando incontri qualcuno, di notte, e non sai se ti prenderà per il collo o ti lascerà tornare a casa sano e salvo».«Solo questo è paura?»«Ma no. Paura è tante cose. Non mi dirai che non sai cos'è la paura di buscarne da tuo padre, per esempio. O di non ritrovare la strada che ti riporta a casa o di fare brutta figura, quando il Rabbi ti chiede “la legge”».Lui mi guarda e sorride. Sembra che mi legga dentro, sembra che, mentre parlo, lui sappia già quello che sto per dirgli.Mette degli sterpi sul fuoco, che sfrigolano. È bello stare in due amici, davanti alla luce della fiamma. È bello avere degli incontri così, di notte. In realtà non occorrerebbe neppure parlare perché si forma una solidarietà, fra noi due, che sembra nascere dalla terra e dal fuoco, dal silenzio e dalla paura.
«Io non ho mai paura» mi dice, dopo molto tempo, e mi pare che stia confidandomi uno dei tanti, troppi suoi segreti. © Lucia Tumiati/Joanna Concejo, op. cit., Topipittori, 2012.

Lucia Tumiati/Joanna Concejo,
Una stelle nel buio,
© Topipittori, Milano, 2012

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