" [...] La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'articolo 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è la scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'articolo 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione pubblica, di condizioni personali e sociali. E l'articolo 51: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per la libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni. Questo strumento è la scuola pubblica, democratica [...]".
"[...] C'è una forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torbido, come certe polmoniti che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori - si dice - di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto da discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: 1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. 2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!
[...] Questo dunque è il punto, è il punto punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti di tutte le religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito.
Voi vi rendete conto che nella situazione catastrofica in cui si trova la scuola pubblica, si arriva a delle cifre paurose. [...] In Italia, dove ci sono tanti ragazzi che mancano dell'istruzione fondamentale, ci sono quarantamila maestri disoccupati, perché mancano le scuole!
Dunque in questa situazione tragica, è una follia, è un delitto pensare che lo Stato, invece di concentrare nella scuola pubblica tutte le risorse del piccolo bilancio dell'istruzione (piccolo in confronto di altri bilanci che voi sapete quali sono) si metta a distribuire il denaro alle scuole private.
[...] Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'articolo 33 della Costituzione fu messa questa disposizione "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere dello Stato".
Piero Calamandrei, III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola, 11 febbraio 1950
(Piero Calamandrei, Per la scuola, Sellerio Editore Palermo, 2008)
Sono passati sessantun'anni dal discorso in difesa della scuola di Calamandrei.
Tristemente, le sue parole sono ancora attuali.
Anzi, oggi più che mai.
Tanto da far pensare che Girolamo De Michele, nel suo libro La scuola di tutti (Minimum fax, Roma, 2010, di cui vi ho parlato nel precedente post), segua e si faccia carico del tono etico e morale di quella voce non solo per raccontare la disastrosa situazione in cui versa la nostra scuola, quindi il livello di civiltà del nostro Stato, ma per aiutarci a comprendere che cosa si cela dietro un piano di distruzione così ottuso ed efferato. Qui lo fa insieme ad Angela Pesce, anche lei insegnante, in un dialogo serrato sull'analisi delle coordinate di un progetto che arriva e parte dalla scuola ma che in realtà, e non a caso, coinvolge tutti i settori della nostra vita.
Per ricordarci, dunque, che ogni progetto sulla scuola nasconde sempre dell'altro. E quell'altro, nel nostro Paese, ha spesso celato i più meschini disegni di sopraffazione dei diritti dell'uomo.
Lascio la parola a Angela e Girolamo.
Girolamo De Michele, Angela Pesce e Gianluca Gabrielli |
Come augurio di buon anno a colleghi e ragazzi quello di lottare con decisione, coraggio e fiducia per difendere la nostra scuola pubblica by any means necessary citando Malcom X, come fai tu nell’ultima pagina del tuo libro. Quali sono per te i mezzi necessari, oggi?
GDM. Lo scorso anno i movimenti di lotta nella scuola hanno saputo spostare la protesta su nuovi piani di lotta: i ricorsi al TAR, l’interpretazione delle norme con sempre maggiore acume giuridico, portando alla luce le incoerenze e le incongruenze dei diktat ministeriali. È una pratica che va ripresa e approfondita, avendo però chiaro che ogni ricorso vinto indica al tempo stesso la strada per correggere e migliorare le norme: è evidente che non ci si può limitare al solo terreno dei ricorsi. Diventa, a maggior ragione, fondamentale la capacità di collegare le lotte scolastiche con le lotte degli altri lavoratori, dei precari, degli intermittenti, dei migranti: generalizzare il conflitto in risposta a una crisi che non è di questo o quel settore, ma globale. E soprattutto, trovare forme inattese di comunicazione delle proprie rivendicazioni – come è stata l’occupazione dei monumenti, come può essere l’uso della rete, come sono state le forme di relazioni che le donne hanno saputo mettere in campo col movimento “Se non ora quando”.
Quando scrivevo quella pagina del libro non erano ancora arrivate le giornate di dicembre, in particolar modo quella del 14, con gli scontri nelle vie di Roma tra studenti e forze dell’ordine. Né era divampata ai livelli dello scorso luglio la lotta degli abitanti della Val di Susa contro la devastazione ambientale causata dalla TAV. Lo dico con chiarezza, senza alcuna finzione di ipocrisia: quello che alcuni manifestanti possono aver fatto a qualche vetrina, sportello bancomat, automezzo – oggetti inanimati, in buona parte feticci o strumenti afferenti a quel modello sociale che sta devastando la nostra vita – i detentori del potere costituito hanno fatto, fanno e faranno non solo all’ambiente, ma alla scuola pubblica, minando in modo forse irreparabile la possibilità di un ethos pubblico per una o due generazioni. Non ho alcuna fascinazione per la violenza o per il conflitto fine a se stesso: ma bisogna essere consapevoli che questo è il livello di violenza con la quale i distruttori della scuola pubblica e dell’ambiente difenderanno le proprie posizioni i propri privilegi.
AP. Parli di un legame tra le ultime riforme che hanno colpito la nostra scuola e la crisi finanziaria internazionale: troppo spesso in Italia i tagli alla scuola pubblica sono una falsa risposta dei nostri governi alla crisi. Cosa dicono quindi i tagli proposti nella doppia manovra estiva?
GDM. Dicono che dietro l’apparente assenza di ulteriori licenziamenti (cosa che sembra suscitare un’irresponsabile reazione di soddisfazione da parte di qualcuno), sulla scuola si riversano dei tagli strutturali. L’accorpamento forzato delle scuole e la cancellazione di circa duemila dirigenze renderà ancora più ingovernabile il sistema-scuola. Inoltre è tutt’altro che sicura la stabilizzazione, per quanto misera nei numeri, promessa come seconda tranche per il prossimo anno scolastico: e questo mentre, in questo mese di settembre, circa 40.000 lavoratori precari sono rimasti senza lavoro. I tagli agli enti locali renderanno le scuola, che ormai violano per legge le norme di sicurezza previste dalla 626, mettendo a repentaglio la salute – e talvolta, come purtroppo sappiamo per esperienza, la stessa vita – di studenti, insegnanti e lavoratori. E ancora, la decurtazione delle aliquote Irpef e la rimodulazione dell’Iva non peseranno in modo uguale sulle diverse fasce di reddito, come l’ingannevole espressione “tagli lineari” lascia intendere. Per il decile più povero della popolazione il costo della manovra sarà di circa il 7%, per il decile più abbiente dell’1%. Per i lavoratori della scuola il costo è quantificabile in un 3-4%, a fronte di uno stipendio che è fermo al 2006 e del congelamento degli scatti di anzianità. E non dimentichiamo che per molti insegnanti assunti prima del 2001 l’equiparazione degli scatti pensionistici al meccanismo della riforma Dini ha prodotto, a partire dall’agosto 2010, una riduzione di un punto nella rivalutazione dei contributi: in altre parole, un centinaio di euro in meno per ogni mese di pensione.
AP. Ormai da un po’ di anni circolano luoghi comuni falsi sulla scuola italiana, soprattutto sull’emergenza educativa che renderebbe le nostre scuole luoghi pericolosi e popolati da delinquenti.
Io, entrata in ruolo lo scorso anno scolastico, ho dovuto seguire alcuni corsi di formazione per lo più mirati a dare competenze per affrontare il problema del “bullismo” declinato nelle forme più svariate fino al più temuto di tutti, il “cyberbullismo”. Ciò che meno si conosce più si teme, e certo poco sa di bullismo chi se ne riempie la bocca in maniera indiscriminata davanti ad ogni forma di disagio, e poco si sa di realtà virtuale, internet, social network, ambiti nei quali tanti ragazzi invece sanno muoversi con agilità e naturalezza.
Dalla mia esperienza di insegnante e di madre, ho l’impressione che la scuola, fin dall’asilo nido, sia lo spazio dell’integrazione e dell’incontro, dove si combattono omofobia, disagio e differenze. Forse anche per questo è poco amata?
GDM. Credo che il problema principale sia lo scollamento tra le dinamiche relazionali che si realizzano a scuola, ancora improntate ad un’idea di socialità e di cooperazione, e le dinamiche relazionali antagonistiche, competitive e premiali che si danno nella società, e che trovano nella televisione non solo una rappresentazione, ma un effetto che retroagisce rafforzando questa società incivile nella quale siamo immersi. C’è una cosa di cui tutti sembrano essersi dimenticati: quando si cita la Strategia di Lisbona (2000), quasi nessuno – fa eccezione, per quel che ne so, Giuliano Amato – ricorda che lo scopo era (cito) «consentire al potenziale di crescita economica, occupazionale e di coesione sociale di svilupparsi pienamente»: accanto a sviluppo economico e occupazione, c’era l’obiettivo della coesione sociale. La scuola è l’unica istituzione impegnata su questo terzo obiettivo: è questo è un fatto. Ma questo obiettivo è incompatibile col modello sociale di cui necessita il capitalismo attuale: guerra permanente di tutti contro tutti, necessità di essere famosi anche per soli 15 minuti, spettacolarizzazione dell’esistenza, assenza di scrupoli morali, cancellazione di ogni forma di etica pubblica. Non sono modalità di relazione accidentali, ma consustanziali al modello sociale imperante: ed è per questo che la scuola non può continuare ad esistere, se non nella forma di uno sportello che cede pacchetti pseudo-didattici in forme selettive e, soprattutto, privatizzate.
AP. I luoghi comuni sull’emergenza educativa nelle scuole italiane vengono “inculcati” con quella che io voglio chiamare “violenza” da politici e mezzi di comunicazione e hanno dalla loro parte solo il fatto di essere semplici: facilmente si capiscono, facilmente entrano nelle teste, facilmente ci restano.
Su La scuola è di tutti c’è il paragrafo "La scuola smonta i bulli, qualcun altro li rimonta", ed è proprio da quel paragrafo che io ho iniziato la lettura del tuo libro, ed è con questa convinzione e fiducia che vorrei che tutti, insegnanti, ragazzi, genitori, iniziassimo questo nuovo anno scolastico. Tu cosa ti auguri?
GDM. Non mi auguro niente: non è con le buone intenzioni che le cose possono cambiare. Purtroppo.
AP. Scrivi che “noi la crisi non la paghiamo”, slogan dell’Onda, è un buon punto di partenza. Vedi un punto d’arrivo?
GDM. Il diritto all’insolvenza. Questa crisi è causata da quegli stessi soggetti speculatori – le grandi Società d’intermediazione mobiliare come la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Deutsche Bank, e via dicendo – che proprio speculando sulla crisi, sui titoli derivati, sui mutui sub prime, sui tassi d’interesse e sui divari tra i tassi (il cosidetto spread) si arricchiscono. Il costo della manovra biennale appena approvata equivale alla cifra che ogni anno lo Stato e gli enti locali pagano a questi cravattari in soli interessi. È necessario – nel senso che davvero non c’è altra alternativa – che i movimenti di lotta si uniscano per imporre ai governanti italiani una politica di decurtazione unilaterale del debito: o i creditori – cioè le 10 SIM che da sole controllano il 70% del movimento finanziario mondiale – accettano questa decurtazione, o il default, cioè il fallimento, di stato come l’Italia, la Spagna, l’Irlanda (la Grecia è di fatto già fallita, anche se non si può dire) travolgerà anche loro. Ma se dimezziamo il debito abbiamo già fatto una prima riforma di sistema, senza alcuna manovra. E del resto: che senso ha togliere non dico ai poveri, come con l’attuale finanziaria, ma ai ricchi, come accadrebbe con una patrimoniale, per dare ai ricchissimi della finanza mondiale? Ma questo è pensabile con un governo cosiddetto tecnico o di larghe intese retto da uomini come Monti o Draghi, che proprio per i servigi resi alla Goldman Sachs sono stati promossi a quegli alti incarichi che fanno di loro dei “tecnici”?
AP. Su un muro di Genova, tra tante scritte su Carlo, la Diaz e il G8 del 2001, ne ho vista una sicuramente suggestiva: "noi la crisi ve la creiamo". Anche questo mi sembra un buon punto di partenza.
GDM. Mi sembra un ottimo punto di partenza: e anche di arrivo, perchè dalla crisi può nascere un nuovo processo costituente, come sta accadendo in Islanda, dove si sta cambiando la costituzione per sottomettere i banchieri all’interesse comune. E dove i debiti non sono stati pagati.
Grazie Angela e Girolamo!
Grazie Angela e Girolamo!
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