venerdì 27 gennaio 2012

IN MEMORIA DI BRUNO SCHULZ. IL BAMBINO CHE IMPARÒ A VOLARE.

Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012


«Quando terminai di leggere Le botteghe color cannella di Bruno Schulz capii di aver trovato la chiave con la quale avrei potuto scrivere della Shoah. Non scrivere della morte e dello sterminio, ma della vita, di ciò che i nazisti avevano distrutto in maniera meccanica su vasta scala. E non di una vita trascorsa fiaccamente ma di una come quella che Schulz ci insegna nei sui libri: vera, alla massima potenza, nella quale la gente che ho appena incontrato, l'attimo appena trascorso, la scena già vista migliaia di volte, la parola ripetuta e scritta all'infinito, si rinnovano incessantemente.»  David Grossman, «Tutto il possibile infinito», in Bruno Schulz, L'epoca geniale e altri racconti, Einaudi, Torino, 2009, p. 124.


Bruno Schulz, L'epoca geniale e altri racconti,
Einaudi, Torino, 2009


«In ogni pagina di Schulz, infatti, in ogni suo brano, la vita esplode ed è degna di questo nome. È ricca di contenuto, di significato e avviene simultaneamente in tutti i substrati del conscio e dell'inconscio, dell'illusione, del sogno, dell'incubo, dei sensi, dei sentimenti, di un linguaggio ricco di sfumature. Ogni riga è una ribellione contro ciò che Schulz definisce "il muro fortificato che grava sul significato". È una protesta contro la desolazione, la banalità, la routine, la stupidità, gli stereotipi, la tirannia del semplicismo, della massa, contro tutto ciò che è privo di audacia, di ispirazione, di nobiltà di spirito.» Ibid., pp. 124-125 


Bruno Schulz nasce il 12 luglio 1892 a Drohobycz, nella Galizia Orientale (oggi Ucraina) ultimo di tre figli nati dal matrimonio tra Jakub Schulz e Henrietta Hendel Kuhmärker, una famiglia di commercianti. Era un cittadino di lingua polacca, e di nazionalità ebraica, dell'Impero austroungarico.



Bruno Schulz
© tutti i diritti riservati



Nel 1910 si iscrive al Politecnico di Leopoli, dal quale dovrà  ritirarsi dopo soli tre anni, senza aver portato a compimento gli studi, a causa di motivi di salute e di problemi economici. La morte del padre, avvenuta nel 1915, fu l'inizio di una condizione di indigenza e di turbamento che non lo abbandonerà per il resto della vita. Sarà grazie all'impiego di insegnante, che ricoprì presso il Ginnasio del suo paese dal 1924, che riuscirà a sostenere sé e la sua famiglia. 
La sua prima forma di espressione artistica fu il disegno.


«I miei inizi come disegnatore si perdono in una nebbia mitologica. Ancora non parlavo, e già costellavo i fogli e i margini di giornale di scarabocchi, che attiravano l'attenzione di chi mi stava vicino. All'inizio erano soltanto carrozze con i cavalli. Viaggiare in carrozza mi pareva un'operazione carica di significati e di recondita simbologia. [...] Quell'immagine appartiene al capitale fisso della mia fantasia, è una specie di nodo viario dal quale si dirama tutta una serie di tracce che si perdono all'infinito. Sino a oggi non ne ho esaurito il suo contenuto metafisico: la vista di un cavallo di un vetturino non ha perso nulla del suo potere di affascinarmi e di eccitarmi. 
[...] Ignoro per quale via, nell'infanzia, giungiamo a certe immagini dal significato per noi decisivo. Esse rivestono il medesimo ruolo di fili immersi in una soluzione chimica, attorno ai quali si cristallizza il nostro senso del mondo.» Intervista a Bruno Schulz di Stanislaw Ignacy Witkiewicz, 1935 in Bruno Schulz Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegniEinaudi, Torino, 2001, pp. 338-339.

Di corporatura minuta, esile, dominata da una testa di dimensioni più che sostenute, e di salute cagionevole, Bruno, nelle parole che l'amico scrittore Gombrowicz confidò al suo Diario (1961-66), aveva "l'istinto della bestia malata di scansarsi, di ritirarsi in disparte".



«Che aspetto ho? Di tanto in tanto mi guardo allo specchio. Che cosa strana, ridicola e dolorosa! Fa vergogna confessarlo. Non mi vedo mai en face, faccia a faccia. Ma un po' più dentro, un po' più lontano, sto là, in fondo allo specchio, mezzo di fianco, mezzo di profilo, sto là pensieroso e guardo di lato.» Bruno Schulz, «Solitudine» in Il Sanatorio all'insegna della Clessidra in Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni, Einaudi, Torino, 2001, p. 272. 


La fatica di convivere con un'immagine di se stesso che non riesce a riconoscere come propria sarà ciò che lo spingerà in vita al disegno quasi ossessivo di autoritratti. 
Nel 1920 comincia a tratteggiare le prime opere di XIega Balwochwalcza (Il libro idolatrico), considerata la sua prima storia autobiografica, composta da venticinque incisioni realizzate con la tecnica del cliché-verre (una delle prime forme di riproduzione delle immagini prima dell'uso della macchina fotografica).


«Le immagini mostrano, nella deformazione dei personaggi, l'influenza del pittore e scrittore austriaco Alfred Kubin. [...] Gli altri pittori che lo hanno maggiormente influenzato sono: Matthias Grunewald, Hieronymus Bosch, Felicien Rops, Aubrey Beardsley, Egon Schiele, Eugeniusz Zak e Stanislaw Ignacy WItkiewicz. Motivi diversi - mitologici, letterari e biblici - compongono queste scene che rappresentano il dominio della donna sull'uomo. Un corteo di ominidi, tra i quali compare sempre anche Schulz, striscia adorante ai piedi di figure femminili belle, sicure di sé, sessualmente disinibite.» Francesco M. Cataluccio, «Maturare verso l'infanzia. Introduzione a Bruno Schulz», op. cit., p. 387.


Immagini tratte da 
Il libro idolatrico di Bruno Schulz
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Nel 1933 Schulz pubblica la prima raccolta di racconti, Sklepy cynamonowe (Le botteghe color cannella), che lo segnalerà come uno dei più interessanti scrittori della letteratura polacca del Novecento, degno di stare a fianco di Gombrowicz e Witkiewicz.


«Considero Le botteghe un romanzo autobiografico. Non solo perché è scritto in prima persona e per il fatto che vi si possono intravedere certi avvenimenti e vicissitudini dell'infanzia dell'autore. Le botteghe sono autobiografia o piuttosto genealogia spirituale, genealogia kat'exochen, poiché presentano la genealogia spirituale sino alla profondità, dove sconfina nella mitologia, dove si perde nel delirio mitologico.»  B. Schulz, Lettere perdute e frammenti, Feltrinelli, Milano, 1980


Bruno Sculz, Le botteghe color cannella.
Tutti i racconti, i saggi e i disegni,
Einaudi, Torino, 2008



In Schulz Mito e storia dell'Infanzia si incontrano nel punto dove prende vita il racconto della figura fondamentale del padre. 



«La fonte della forza visionaria di Bruno Schulz è l'affollata e disordinata bottega di stoffe del padre: un vecchietto-demiurgo che sconvolge in modo imprevedibile tutte le regole della fisica e della ragione. Jakub si arrampica come un ragnetto per gli scaffali, inseguendo i ragni; elabora arzigogolate cosmogonie interpretando a modo suo i segni del cielo; si circonda di specie bizzarre e variopinte di volatili, diventando anche lui una sorta di feroce condor; si trasforma in pompiere con tanto di divisa rosso fiammante e alamari d'oro... Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo (basta come pretesto, ad esempio, un vecchio album di francobolli) si accavallano con l'ausilio di una lingua poetica scoppiettante di metafore. Scettico sulle possibilità di conoscenza umana, Schulz aveva dato libero sfogo alla fantasia e alla «mitizzazione» della realtà. Nell'infinita varietà dei suoi aspetti, l'opera di Schulz ha una sua unitarietà. I racconti, assieme ai disegni, costituiscono un Libro: una sorta di Bibbia dell'infanzia perduta, di quel periodo in cui, grazie al Padre, tutto sembrava - ed era - possibile.» Francesco M. Cataluccio, op. cit., pp. 392-393.


Nel racconto «I manichini» Bruno scriverà di Jakub:


«Vale la pena notare come tutte le cose, a contatto con quell'uomo straordinario, risalissero in certo qual modo alla radice della loro esistenza, ricostruissero la loro realtà fenomenica fino al nucleo metafisico, tornassero per così dire all'idea primigenia per distaccarsene poi a quel punto e volgere in quelle regioni dubbie, rischiose e ambigue che chiameremo qui, brevemente, regioni della grande eresia.» Bruno Schulz, op. cit., p. 28.

Dopo il successo ottenuto con Le botteghe color cannella, Bruno inizia a collaborare a varie riviste letterarie e continua la sua attività di pittore. Nel 1937 pubblica, con sue illustrazioni, una seconda raccolta di racconti: Santorium pod Klepsydra (Il Sanatorio all'insegna della Clessidra) e nel 1938 esce il suo ultimo racconto «Kometa» («La cometa»)  mentre continua a lavorare al romanzo Mesjasz (Il Messia), iniziato nel 1934 e che purtroppo andrà perduto. 


Con lo scoppio della guerra, Drohobycz viene prima occupata dai tedeschi e poi lasciata, in base al patto Ribbentrop-Molotov, ai sovietici. Schulz intanto ha tradotto in polacco, insieme alla fidanzata Józefina Szelińska, Il processo di Kafka, che fu sicuramente il narratore europeo più affine alla sua ricerca letteraria e sul quale scrive una prefazione che pare non solo una delle più lucide analisi del romanzo dello scrittore praghese ma, a tratti, anche una preziosa chiave ermeneutica offerta da Bruno, forse inconsapevolmente, per l'interpretazione della sua stessa opera artistica e letteraria.



«I libri di Kafka non sono un quadro allegorico, una lezione oppure l'esegesi di una dottrina, sono un'autonoma realtà poetica, sferica, chiusa da ogni parte, motivata in se stessa e acquietata. Al di là delle sue mistiche allusioni e delle intuizioni religiose l'opera vive della propria vita poetica - ricca di significati molteplici, imperscrutabile, tale da non poter essere esaurita da alcuna interpretazione.» Bruno Schulz, prefazione-postfazione all'edizione polacca de Il processo di F. Kafka, 1936 


Nel 1941 Drohobycz verrà riconquistata dai tedeschi della Germania nazista che di lì a poco compiranno lo sterminio sistematico della popolazione ebraica. Nello stesso anno Schulz viene relegato nel ghetto. 


«È un freddo giorno del febbraio 2001 quando un regista, Benjamin Geissler, e la sua troupe si introducono nella casa e rimuovono dai muri gli strati di intonaco più recente finché sulle pareti di quella che tanti anni prima era la stanza dei bambini spuntano cinque splendidi affreschi.» Nadia Terranova, "A Drohobycz, una piccola città della Galizia Orientale, c'è una vecchia casa dai muri scrostati" in Bruno. Il bambino che imparò a volare, Orecchio acerbo, Roma, 2012 


Bruno Schulz © tutti i diritti riservati 


«Sono immagini ispirate alle fiabe dei fratelli Grimm, ma i boschi ricordano quelli del circondario e le figure qualcuno che è esistito, davvero: la strega ha il volto dell'amante di Felix Landau, un ufficiale delle SS che abitava la casa durante l'occupazione nazista, mentre il cocchiere ha i tratti inconfondibili di Bruno Schulz, rinchiuso proprio da Landau con l'ordine di dipingere la camera dei suoi figli.» Ibidem, © tutti i diritti riservati 


Bruno Schulz © tutti i diritti riservati 


«Prigioniero in costante pericolo di vita, legato da un filo sottile all'uomo che lo proteggeva e lo schiavizzava, Bruno eseguì l'ordine non rinunciando a prendersi la soddisfazione di lasciare in quelle illustrazioni favolistiche tracce di quell'autunno del 1942. Drohobycz era occupata dai nazisti e quelli sarebbero stati i suoi ultimi giorni di vita.» Ibidem© tutti i diritti riservati 

Bruno Schulz © tutti i diritti riservati 


Il 19 novembre del 1942, il cosiddetto Giovedì nero, Bruno Schulz viene ucciso per strada da Karl Gunther, un ufficiale della Gestapo. Il suo omicida si è poi vantato d'avere ucciso per vendetta, in quanto l'ufficiale presso cui lavora Schulz aveva ucciso a sua volta un ebreo che lavorava per lui. Forse questo è solo un doloroso aneddoto, tanto credibile perché miseramente perpetrato dai nazisti in altre occasioni, e Bruno fu vittima, insieme ad altri, di uno dei numerosi massacri di ebrei. Rimane che il suo corpo, seppellito dall'amico Izydor Friedman in una fossa comune di un cimitero ebraico, non è mai stato ritrovato.

Sono passati quasi settant'anni dalla morte di questo uomo, di questo artista nascosto e visionario. La sua figura, indistinta dalla sua opera, è amata e considerata fonte di ispirazione per molti scrittori: da Philip Roth a Danilo Kis, da Cynthia Ozick a Nicole Krauss, tra gli altri, che hanno sentito il desiderio di mantenerlo in vita tra le pagine dei loro saggi o dei loro romanzi.

Lo hanno fatto, in un modo che ritengo mirabile per le ragioni che dirò tra poco righe, anche Nadia Terranova e Ofra Amit in Bruno. Il bambino che imparò a volare, il libro che la casa editrice Orecchio acerbo aggiunge all'albo dei suoi preziosi ricordi per commemorare il Giorno della Memoria.

Nadia Terranova, ha 34 anni, messinese di nascita e romana d’adozione, è stata redattrice, traduttrice, editor, insegnante, e ora è scrittrice a tempo pieno. Ha pubblicato racconti in riviste e antologie e il romanzo per ragazzi Caro diario ti scrivo… con Patrizia Rinaldi (Sonda, 2011) che ha ottenuto la menzione Nisida Roberto Dinacci – premio Elsa Morante Ragazzi 2011. Ha ideato e curato il libro di ricette e racconti Scrittori in cucina (Jar, 2010) e per la casa editrice Fernandel (2011) ha partecipato al romanzo collettivo Il cavedio. Inoltre, ha curato per alcuni anni su Splinder un blog letterario dedicato a Bruno Schulz dal titolo "Le botteghe color cannella".

Ofra Amit ha 35 anni e vive in Israele, a Tel Aviv. Divide la sua attività fra i libri per ragazzi, le immagini per il teatro e le illustrazioni per varie riviste e quotidiani. Per il suo lavoro ha avuto diversi riconoscimenti da Communication Arts, Applied Arts, The Society of Illustrators. Nel 2010 ha ottenuto la Gold Medal for Children's Books Illustration attribuita dall’Israel Museum.


Dall'incontro tra Nadia e Ofra è nato un libro esemplare e importante che, mentre  offre la possibilità ai primi lettori di conoscere la storia e l'opera di questo uomo, scrittore e pittore fuori del comune, si rivela una preziosa introduzione nonché un poetico compendio a tutta la sua opera. 


Appena ho visto Bruno. Il bambino che imparò a volare ho provato quella stessa sensazione di estraniamento, dovuta a un misterioso connubio di potenza e levità, che mi ha riportato in un balzo tra le atmosfere delle pagine del grande scrittore polacco.


Le parole di Nadia, precise e evocative al contempo, la scelta del racconto, dove aneddoti di vita, visioni, emozioni, rimandi letterari si intrecciano fino a creare una trama poetica densa di significati, insieme alle figure e alle cromie che Ofra ha scelto per disegnare, in ogni minimo e più piccolo particolare, la tela della vita e del pensiero di questo uomo sospeso tra cielo e terra, regalano al lettore di ogni età un libro di valore e di straordinaria potenza.



Bruno era un bambino indaffarato. Anche se la testa greve gli rallentava il correre sobbalzando a ogni passo, lui trottava tutto il giorno per salvare il padre dai guai in cui si cacciava con le sue metamorfosi improvvise.
Colpa di Adela, governante troppo zelante, spaventata dalle continue apparizioni che infestavano casa Schulz.


Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012


Una volta Adela urlò spaventata e spinse fuori dalla finestra un uccello dalle zampe enormi e dal piumaggio variopinto.
Bruno riuscì a far rientrare di soppiatto quell'innocuo rapace.




Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012



«Il Mito per Schulz è un modo di riorganizzare in un nuovo racconto, le immagini che affiorano e svaniscono continuamente. È, al contempo, una forma di elaborazione del lutto per la perdita di un padre e di un mondo. Il superamento della morte viene attuato da Schulz attraverso l'esaltazione del mutamento e della Metamorfosi.» Francesco M. Cataluccio, op. cit., p. 399.

Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012



La scelta stilistica di Nadia e Ofra sembra stata proprio quella di porsi tra Mito Infanzia e Metamorfosi, su questo sottile e fragile crinale, prezioso filo teso a dirimere un prima e un dopo nella lettura reale e trasfigurata della vita, l'altrui e la propria.



Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012




Una sorta, questo, di terzo occhio dello stato dell'anima, l'unico capace di regalare baluginanti bagliori che illuminano quella terra fatta di qui e ora e altrove dove tutto è possibile e passibile di comprensione.




Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012




Quello che, infine, Bruno confida all'amico e poeta Julian Tawin (sarò un caso forse che nel catalogo di Orecchio acerbo ci sia il suo Tutti per tutti?) in una lettera scritta per ringraziarlo di avergli insegnato che «ogni stato d'animo dell'anima sufficientemente lontano, inseguito in profondità, conduce attraverso le strettoie e i canali della parola - alla mitologia».




«Mi portavo dentro all'ora il mito di un'epoca geniale, che presumibilmente un tempo faceva parte della mia vita, non localizzata in alcun anno del calendario, sospesa al di sopra della cronologia un'epoca nella quale tutte le cose respiravano nel bagliore di colori divini, si sorbiva tutto il cielo in un respiro, come pure un sorso di pure oltremare.» Bruno Schulz in Francesco M. Cataluccio, op. cit., p. 399.


Quell'epoca geniale che Bruno ci racconta con parole immense nel suo Il Sanatorio all'insegna della Clessidra.


«Che è mai quest'epoca geniale e quando fu?» si domanda Bruno Schulz. E noi, suoi lettori, ci domandiamo con lui: c'è mai stata un'epoca di suprema ispirazione in cui l'uomo potesse tornare a essere bambino? In cui l'intero genere umano potesse tornare a essere bambino?» David Grossman, «Tutto il possibile infinito», in Bruno Schulz, L'epoca geniale e altri racconti, Einaudi, Torino, 2009 



Parole che ancora oggi riconosciamo come sedimenti di quella purezza che si coglie nella scia tracciata da quel pensiero luminoso che fu la sua arte.


«Mi sembra che il genere di arte che mi sta a cuore sia proprio una regressione, sia un'infanzia reintegrata. Se fosse possibile riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l'infanzia attraverso una strada tortuosa - possederla ancora una volta, piena e illimitata -, sarebbe l'avveramento dell'"epoca geniale", dei "tempi messianici", che ci sono stati promessi e giurati da tutte le mitologie. Il mio ideale è "maturare" verso l'infanzia.» B. Schulz, Lettere perdute e frammenti, Feltrinelli, Milano, 1980


Ci fu un giorno, il 19 novembre del 1942, in cui fu deciso, tragicamente, di toglierci anche tutto questo.


Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012



Dopo qualche anno, ci sarà un altro giorno, una nuova alba, in cui "la maturità" di una bambina, le farà trovare i disegni di Bruno Schulz nel baule protetto da una soffitta di una vecchia bottega liberandolo, librandoci con lui, nell'aria del pensiero della dignità dell'uomo che nessun folle regime sarà mai in grado fino in fondo di sopprimere.


Nadia Terranova/Ofra Amit,
Bruno. Il bambino che imparò a volare,
Orecchio acerbo, Roma, 2012




***


Oggi pomeriggio, alle ore 18,30, potrete incontrare Nadia Terranova e Ofra Amit presso la Galleria Tricomia di Roma che ospiterà - fino al 5 febbraio prossimo - la mostra delle tavole originali di Bruno. Il bambino che imparò a volare.



Orari: martedì- sabato 10.00/19.30
Info: info@tricomia.com

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