Pluripremiata autrice di una quindicina di libri per adulti e bambini, Gita Wolf si è laureata in letteratura inglese e letteratura comparata. Lasciata la carriera accademica per il mondo della comunicazione letteraria e visuale, nel 1994 ha fondato la raffinata Tara Books, una casa editrice indipendente che ha sede a Chennai, in India.
Di Joydeb Chitrakar non sono riuscita a trovare nulla. Tra poco leggerete l'affascinante perché. L'unico altro titolo di Joydeb Chitrakar è Tsumani (insieme a Moina Chitrakar, Tara Books).
I libri di Tara Books, e di Gita Wolf, in Italia sono pubblicati da Babalibri, Salani, Corraini, Gallucci, l'Ippocampo Junior, Donzelli, Lapis e Adelphi.
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno,
traduzione di Giuliano Boccali © L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, artista pop, è uno storico animatore della Pixar (dove ha lavorato a Ratatouille, Gli Incredibili, Monsters and Co., Toy Story 2 e Toy Story 3, A Bugs Life...). Ha collaborato anche ad alcuni episodi dei Simpson per la Fox e con il cartoonist Joh K., creatore di Ren and Stimpy. In Ramayana. Il Divino Inganno, pubblicato da Chronicle Books, ed edito in Italia da l'Ippocampo, racconta con toni dolcemente divertiti e con un stile grafico che trabocca di immaginazione e sfarzo una delle più antiche e amate leggende della mitologia indù.
Si dice che di quando in quando il mondo debba essere ricreato. Molte storie antiche raccontano di un tempo in cui un formidabile diluvio distrusse la terra, lasciandola deserta. A poco a poco, però, dalle rovine del vecchio mondo emerse una nuova vita. È questa la storia che vi voglio raccontare. L'avrete forse già sentita, ma le grandi storie vanno raccontate tante volte, perciò ho deciso di farlo a modo mio, per come l'hanno raccontata a me. © Gita Wolf/Joydeb Chitrakar, op. cit., Gallucci Editore, Roma, 2012.
Dunque del racconto biblico dell'Arca di Noé sappiamo già tutto.
Quello che forse molti di voi non hanno avuto modo di conoscere fino a ora, e anch'io ho dovuto approfondire per potervene parlare meglio, è l'arte bengalese Patua lo stile pittorico con cui in questa edizione viene raccontato uno dei racconti religiosi della storia religiosa dell'uomo. (Una sorta di Arca di Noé è presente anche nel Gilgamesh).
La parola Patua, derivata dal sanscrito Patta, che significa “tessuto”, è la denominazione popolare che viene attribuita a pittori e cantanti che, ancor oggi, mantengono viva l’antica tradizione dei cantastorie itineranti indiani. Tradizionalmente essi producono i Patachitra, rotoli di tessuto e di carta dipinti a mano cantando , in cui si fondono i termini “tessuto” e “dipinto”.
Dipinti cantati - Le Singing Women della tradizione indiana
Mostra a cura di Laura Todeschini, Coordinamento scientifico di Urmila Chakraborty e Giulia Ceschel WOW Spazio Fumetto - Museo del Fumetto di Milano 26 settembre - 14 ottobre 2012 |
Questi artisti erano anche conosciuti con il soprannome di Chitrakar ovvero “pittori e creatori di pittura”, definizione che indicava la loro attività. In origine i Patua erano di religione indù e appartenevano a una casta minore. Durante l’Impero Moghul (1526-1857 d.C.) la maggior parte di loro si convertì alla fede musulmana, per poter elevare il proprio status sociale ed essere rispettati all’interno di quella comunità. Ben presto però, le loro opere furono considerate in contrasto con le regole della religione musulmana, perché seguitavano a raccontare vicende di déi indù o riproducevano episodi dei poemi classici dell’induismo (Ramayana e Mahabarata), ma soprattutto perché raffiguravano il divino con immagini antropomorfe. In seguito, dopo essere stati allontanati dalla comunità musulmana, un gruppo di Patua decise di adottare il soprannome "Chitrakar", quale cognome ufficiale. Per questa ragione gli artisti, che oggi abitano nel villaggio Naya, presentano tutti il medesimo cognome. Oggi, tra i Chitrakar vi sono alcuni di fede indù e altri musulmani, ma pacificamente convivono e lavorano insieme. I Patua continuano a rinnovare i temi dei loro scrolls, dimostrando di essere ben aderenti al presente, pur nel rispetto della tradizione; anche quando affrontano nuovi temi, si mantengono legati al linguaggio pittorico ed espressivo tradizionale. La loro pittura è caratterizzata dall’assenza di un impianto prospettico e presenta immagini bidimesionali, rese con campiture piatte ed evidenziate da arditi contrasti. Ciò non è dovuto a imperizia tecnica, ma è parte della filosofia e dell’estetica indiana, in cui la realtà è elevata a dimensione simbolica e atemporale. I racconti di fatti di attualità prendono le mosse dal teatro popolare itinerante jatra, assai diffuso in Bengala. Negli anni ottanta, con il diffondersi dell’elettricità anche nei villaggi, televisione e radio divennero parte della quotidianità, aprendo così̀ una finestra sul resto del mondo che stimolò l’immaginario degli artisti. Gli input esterni si sono via via intensificati col sopraggiungere di cellulari e di Internet. Ecco che i più interessanti fatti locali o internazionali compaiono nei loro dipinti e canti. Inoltre, col diffondersi della scolarizzazione, gli artisti sono stati stimolati dai giovani ad allargare i propri orizzonti. I nuovi temi si fanno largo accanto a quelli più tradizionali, senza mai abbandonare il tipico modo di dipingere e d’inscenare il racconto. L’arte Patua è da sempre un mezzo d’intrattenimento e di comunicazione. Oggi però, gli stimoli per creare racconti sulla contemporaneità, non prendono spunto solo da fatti quotidiani o locali, ma anche da notizie d’interesse globale, apprese dai mass medi. I Chitrakar rielaborano le notizie in una dimensione astratta e fantasiosa. In mostra i Patachitra di questo gruppo descrivono l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001, il terrorismo e Bin Laden o parlano di clamorosi disastri ambientali, come lo Tsunami del 2004.© Giulia Ceschel, dal catalogo della mostra "Dipinti Cantati. Le Singing Women della tradizione indiana", cit. .
Joydeb e Moina Chitrakar, Tsunami,
© Tara Books, Chennai (India),
Alcuni narrano della piaga dell’HIV, assai diffusa in India; tant’è che, importanti campagne informative su temi sociali e di salute pubblica sono state diffuse per mezzo di quest’arte. Altri ancora, parlano di fatti di cronaca della regione del West Bengal, ad esempio la rivolta popolare di Nandigram, nel 2007-2008. © Giulia Ceschel, dal catalogo della mostra "Dipinti Cantati. Le Singing Women della tradizione indiana", cit. .
Dipinti cantati - Le Singing Women della tradizione indiana
Mostra a cura di Laura Todeschini, Coordinamento scientifico di Urmila Chakraborty e Giulia Ceschel WOW Spazio Fumetto - Museo del Fumetto di Milano 26 settembre - 14 ottobre 2012 |
Dipinti cantati - Le Singing Women della tradizione indiana
Mostra a cura di Laura Todeschini, Coordinamento scientifico di Urmila Chakraborty e Giulia Ceschel WOW Spazio Fumetto - Museo del Fumetto di Milano 26 settembre - 14 ottobre 2012 |
Dipinti cantati - Le Singing Women della tradizione indiana
Mostra a cura di Laura Todeschini, Coordinamento scientifico di Urmila Chakraborty e Giulia Ceschel WOW Spazio Fumetto - Museo del Fumetto di Milano 26 settembre -14 ottobre 2012 |
Gli artisti Patua sono nelle maggior parte donne. Si può dire che sono state loro a ereditare questa tradizione nei villaggi del West Bengal. Il loro lavoro, e il sostegno finanziario che ne ricavano, è una storia di emancipazione economica e sociale che a sua volta vuole farsi voce nella lunga strada che l'India deve percorrere verso la parità. La denuncia degli abusi, delle tradizioni che ancora calpestano i diritti di spose o uccidono i feti, sono temi ricorrenti nei racconti che vivono negli scrolls. Allo stesso tempo, il Governo indiano incoraggia l'attività delle donne cantastorie come strumento di trasmissione di messaggi sociali.
Storie semplici, che parlano della condizione femminile nella società̀ rurale indiana, descritte però in una dimensione immaginifica e straordinaria. Si narra così della cura dei figli o di differenti attività̀ che le donne svolgono per il sostentamento e il benessere della famiglia e della comunità̀. A questo gruppo appartengono anche alcuni dipinti, con episodi di forte drammaticità̀, che presentano la condizione di subalternità̀, a leggi non scritte, della tradizione a cui, ancora oggi, molte donne sono costrette a sottostare. In India, il rapporto con la tradizione e le regole sociali è tutt’ora molto viva, in particolare nella società̀ contadina. © Giulia Ceschel, dal catalogo della mostra "Dipinti Cantati. Le Singing Women della tradizione indiana", cit. .
Ora che vi ho scritto qualche cosa in più dell'arte Patua, guardate che incanto di emozioni e sensazioni differenti, rispetto a quelle provate dal racconto originale e alla sua classica iconografia così come li conosciamo, offre questo libro a leporello che si dispiega nel corso della lettura fino a divenire un lungo quadro, dipinto in fronte e retro, quale immaginario differente propone e quale ponte è in grado di costruire tra differenti culture.
Gita Wolf/Joydeb Chitrakar,
L'arca di Noè, traduzione di Susanna Basso © Gallucci Editore, Roma, 2012 |
Gita Wolf/Joydeb Chitrakar,
L'arca di Noè, traduzione di Susanna Basso © Gallucci Editore, Roma, 2012 |
E guardate ora anche un altro modo, che sottende però ad un'altra idea stilistica che seppur diametralmente opposta, persegue lo stesso intento: quello di proporre i grandi racconti della tradizione ai bambini di oggi perché nella loro narrazione essi possano continuare a trovare nuova vita e nuovi significati.
In questo secondo caso parliamo del Rāmāyaṇa che insieme al Mahābhārata è uno dei più grandi ipoemi epici della mitologia induista, oltre ad essere uno dei testi sacri più importanti di questa tradizione religiosa e filosofica.
Il Rāmāyaṇa narra le avventure di Rama, avatar di Viṣṇu, ed è una delle Itihasa, le scritture epiche indiane.
L'intento di Sanjay Patel, artista e storyboard della Pixar, americano di seconda generazione, è stato proprio quello di riappropriarsi di un racconto fondativo delle sue origini che da bambino non ha avuto modo di assaporare perché raccontato in un modo per lui troppo lontano ma che sente profondamente suo. Il suo tentativo, con quest'opera, è quello di restituire, seppur in forma moderna e accattivante, la bellezza di questo intenso e bellissimo poema al piacere della lettura dei bambini.
Quando Ravana, il più grande, malvagio e indistruttibile demone mai creato si impadronisce dell'universo, Vishnu, dio dell'ordine cosmico, deve trovare un modo per fermarlo. Appare sulla scena Rama, l'incarnazione terrestre di Vishnu, un affascinante principe dalla pelle color blu elettrico, con un grande compito e uno straordinario destino. La vita per lui è dolce, fino a quando da erede indiscusso al trono non è improvvisamente costretto all'esilio dalla perfida matrigna, la quale vuole che a diventare re sia suo figlio. Cominciate con un lungo viaggio attraverso le foreste dell'India, le avventure di Rama sono appena all'inizio quando Ravana rapisce la sua bellissima moglie, Sita, e la imprigiona nell'isola di Sri Lanka. Quella che segue è una storia d'amore, di devozione, di guerra e destino che ha rappresentato a lungo una pietra angolare della mitologia induista. Principesse in pericolo, incarnazioni divine, reali intriganti, mostri travolti dalla passione, armi magiche, orsi parlanti, divinità-scimmia che volano e orde di demoni assetati di sangue popolano questa indimenticabile e coinvolgente leggenda.
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Invece di attingere all'immaginario visivo della tradizione, Patel mette tutta la sua arte pop, e tutta l'esperienza maturata alla Pixar e nel cinema di animazione, a servizio di questo antico racconto, infondendogli un ritmo consono al modo di apprendere dei bambini di oggi, senza mai snaturare la versione originale che qui, e non deve essere stato facile, non perde nulla del suo misterioso fascino.
Pur rinnovandone profondamente la potenza visiva, il poema mantiene intatti i simboli e gli archetipi di cui è portatore, patrimonio che purtroppo oggi troppo spesso rischia di rimanere sepolto dalla polvere del tempo.
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Con oltre cento tavole, arricchite da un intelligente glossario a uso del lettore per approfondire la conoscenza dei protagonisti non meno degli animali della leggenda, da una sezione dedicata alla geografia dell'epoca e da una curiosa sezione dedicata agli schizzi e ai lavori preparatori per arrivare alle tavole definitive, la versione di Patel del Rāmāyaṇa è, oltre che coraggiosa, a pieno titolo da inserire tra quelle di sicuro valore dedicate a questo genere di racconti.
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Sanjay Patel, RAMAYANA. Il Divino Inganno, traduzione di Giuliano Boccali L'Ippocampo, Milano, 2012 |
Due libri, due modi diversi di interpretare visivamente i racconti della nostra tradizione. Due libri che fanno da ponte tra culture che si intersecano e che, in fondo, non sono così differenti come ci hanno voluto far credere. L'epica, la mitologia, il sacro, non la religione ancora oggi purtroppo, sono il patrimonio comune che ci definisce come abitanti dello spazio tra terra e cielo. Proporlo e condividerlo è un'occasione che non possiamo più lasciarci sfuggire.
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