giovedì 20 febbraio 2014

ALBERTO MANZI, IL RITRATTO DI UN RIVOLUZIONARIO PER VOCE DI FIGLIA


Giulia Manzi, Il tempo non basta mai.
Alberto Manzi una vita tante vite
,
Add Editore, Torino, 2014
(da oggi nelle librerie)


Ci sono persone che entrano nella storia della tua famiglia così che quando nasci le trovi già lì ad attenderti con tutto il corredo delle loro storie pronto per essere raccontato.
Sono una sorta di "elementi" acquisiti per elezione.
Ma quando ripercorri i ricordi, legati ai racconti di quegli anni che ti hanno formato, poi non distingui più se sono una prolusione delle foto che hai visto nell'album oppure no e, sopratutto, non ha alcuna importanza perché sono ormai stati distillati fino a divenire quell'essenza che ora sedimenta in te.

Alberto Manzi, a casa mia, era stato scelto come uomo capace di farsi carico dell'istruzione delle persone, "uno dei più grandi valori e impegni che si possano assumere", sentivo ripetere e vivevo sulla mia pelle quasi ogni giorno. Può sembrare una considerazione scontata questa sul valore dell'istruzione, ma almeno per quanto riguarda la mia esperienza di oggi sono sicura che non sia così ovvia. 

C'è però una particolare differenza che forse come me accompagna altre persone, che non so dire parole, ma che sento ogni volta che mi confronto sull'argomento. C'è qualcosa, una voce di sottofondo che impone una visione e un'azione, qualcosa che arriva da lontano, da quella singolare forma di rispetto per la formazione e per la cultura che mi è stato mostrato dagli occhi lucidi e sapienti di chi a quell'educazione prima non era stato permesso di accedere e che per tutta la vita ha cercato di colmare il vuoto provato dal senso di inadeguatezza lasciato da quella mancata opportunità.

Alberto Manzi aveva dimostrato di capirlo più di altri e questo lo rendeva ancora «più» speciale a casa mia, come a casa di molti italiani.
E lo fece già con quello che era più di un semplice titolo scelto per la sua trasmissione "Non è mai troppo tardi" (sottotitolo: Corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta) che diede il coraggio a milioni di persone, finalmente indipendenti dall'età e dagli ostacoli imposti dalla vita, di prendere in mano carta e penna per imparare a leggere e scrivere.


Rai Educational del 20/08/2010
"TV BUONA MAESTRA": la lezione di ALBERTO MANZI (parte 1/3)



Quando sono nata io, "Non è mai troppo tardi" (che ebbe inizio il 15 novembre 1960 e venne mandata in onda per 484 puntate nella fascia preserale, per permettere a chi lavorava di potervi assistere con cadenza quotidiana,  dal lunedì al venerdì fino al 1968), era terminata da un anno ma potei godere dei sui frutti ancora per molto tempo, grazie a quei quaderni che i miei nonni avevano creato insieme a Manzi per riprendere e migliorare gli insegnamenti ricevuti nel corso dei pochi anni elementari, quaderni che avevano conservati per poi usarli per insegnare, forse fin troppo precocemente, a mia sorella poi a me, a leggere e scrivere. 

Alberto Manzi, sapevamo però dalle ricerche di mio nonno, era se possibile ancora di più del Maestro televisivo, era un uomo profondamente rivoluzionario nel pensieri e nei gesti.

Un uomo che non hai smesso di accompagnarci nel tempo, sempre impegnato per tutta la vita a rendere possibile e concreto l'incontro tra giustizia, valori e bellezza.
Una figura di pedagogo di grande spessore e che, grazie anche agli studi che non hanno mai smesso di compiersi sulla sua opera (promossi e sostenuti anche dal Centro Alberto Manzi di Bologna), deve essere riscoperta per la complessità, la profondità e la lungimiranza della sua visione.

Anche per questo Il tempo non basta mai, il libro che scritto dalla figlia più giovane, Giulia Manzi (con l'introduzione di Federico Taddia e che ho preso spunto da  un'intervista rilasciata da Sonia Boni Manzi, seconda moglie di Alberto, a Alessandra Falconi e Luigi Zanolio del Centro Alberto Manzi e che da oggi potete trovare nelle librerie), diviene un risorsa indispensabile per aggiungere tasselli fondamentali al mosaico di una vita di un uomo fuori dall'ordinario.

Un libro biografico che precede di pochi giorni la fiction Non è mai troppo tardi, che Rai1 proporrà lunedì 24 e martedì 25 febbraio in prima serata alle 21.10 (produzione  di Angelo Barbagallo, regia di Giacomo Campiotti con Claudio Santamaria e Nicole Grimaudo) e che ripercorrerà la vita di Alberto Manzi fra il 1946 e il 1960, con particolare attenzione al periodo dedicato all'insegnamento in carcere, una delle sue esperienze mene conosciute, ma che inspiegabilmente ne tralascerà un'altra determinante: quella del suo impegno in Sudamerica.

Storia di un vita "altra", di un impegno, quello sudamericano, con cui invece si apre in modo del tutto inaspettato e spiazzante, decisamente coraggioso, il libro di Giulia.


Alberto Manzi nasce a Roma il 3 novembre del 1924. Dopo l'esperienza di guerra come sommergibilista, nel 1946 inizia l'attività scolastica presso il carcere A. Gabelli di Roma. Nel 1954 lascia la direzione dell'Istituto di Pedagogia della Facoltà di Magistero di Roma per fare l'insegnante elementare e portare avanti, «sul campo», quelle ricerche di psicologia didattica che continuerà almeno fino al 1987, quando abbandona l'insegnamento. Ha curato sussidiari, libri di letture, diari scolastici. Assai intensa l'attività di scrittore, con oltre trenta titoli tra racconti, romanzi, fiabe, traduzioni e testi di divulgazione scientifica tradotti in tutte le lingue che gli sono valsi riconoscimenti e premi internazionali. Dal 1954 al 1977 si è recato in Sudamerica ogni estate per tenere corsi di scolarizzazione agli indigeni e sostenere attività sociali. "Non è mai troppo tardi"  è solo la più nota di una lunga serie, tra il 1951 e il 1996, di trasmissioni e collaborazioni con la televisione e la radio. Nel 1993 ha fatto parte della Commissione per la legge quadro in difesa dei minori. Nel 1994 è stato eletto sindaco di Pitigliano (Grosseto), dove risiedeva. Qui si è spento il 4 dicembre del 1997. Alcuni dei suoi titoli: Grogh, storia di un castoro (BUR, 2011), Tupiriglio (BUR, 2011), Orzowei (BUR, 2008), Romanzi (a cura di A. Melis, Gorée, 2007), El loco (Gorée, 2006), La luna nella baracche (Gorée, 2006), Gugù (Gorée, 2005), E venne il sabato (Gorée, 2005).



Rai Educational del 20/08/2010 
"TV BUONA MAESTRA": la lezione di ALBERTO MANZI (parte 2/3)


«Non sono mai stata molto favorevole a "distribuire" pezzi di mio padre al di fuori dell'ambito privato e familiare; ogni volta, per me, è una parte di papà che se ne va. Da piccola non riuscivo a capire perché tante persone lo volessero portar via da me e da mamma, o perché dovessimo presenziare a inaugurazioni, intitolazioni e cerimonie che lo riguardavano. Un giorno mi madre mia ha detto che aveva registrato un intervista: "È un regalo per te" aggiunse. Era certa che un giorno avrei voluto sapere.  
 [...]
Non avrei mai pensato di leggerne la trascrizione con facilità, né tanto presto quanto invece è successo. La sua lettura è stata casuale, quasi involontaria.
Una volta finita, ho sentito perla prima volta l'esigenza di donare un pezzo di mio padre a tutti coloro che avessero avuto voglia di scoprirlo, volevo essere io a farlo». Giulia Manzi, op. cit., 2014 .


Giulia Manzi è oggi una giovane donna che ha conseguito la laurea triennale in Scienze Storiche all'Università Europea e studia Editoria e Scrittura alla Sapienza di Roma, ma quando è scomparso il suo papà era una bambina di soli nove anni. Questo suo sguardo duplice, di adulta e bambina insieme, di figlia e biografa, di desiderio di trattenere e del senso di responsabilità insito nella decisione presa di concedere, è ciò che definisce la cifra stilistica che, a mio avviso, l'ha guidata nella scrittura del libro che, a dire il vero, forse non è appropriato definirlo biografia. In realtà si tratta piuttosto di un vero e proprio memoir condotto con la regia di Giulia che è riuscita a preservare l'autenticità delle tre voci che lo compongono: la sua quella, quella di Alberto e quella della madre Sonia, mantenendole in perfetti equilibrio e consonanza pur rispettando i tre diversi timbri che le caratterizzano; tre testimonianze che si passano il testimone, per continuare ciascuna il racconto dove l'altra l'ha dovuto interrompere.

Non è forse un caso che abbia scelto di partire su un levare, si direbbe in musica, dall'esperienza meno conosciuta anche all'estimatore più attento di Alberto Manzi, quella dell'Amazzonia e del Sudamerica dove, per più di vent'anni, egli passò almeno un mese ogni estate non solo insegnando a leggere e scrivere a campesinos analfabeti ma occupandosi dei più "miseri", di coloro la cui vita era destinata a rimanere ai margini, finendo per essere arrestato e torturato per aver osato sfidare il potere dei governi.

«Era partito per il Perù con la sua valigetta, che non faceva toccare a nessuno. Io non riuscivo a capire perché lui comprasse la conserva nei barattoli da 250 grammi. Ho poi scoperto che un parte di quei barattoli conteneva esplosivi. [...]Lui aveva segnato quelli che contenevano pomodoro per diversificarli dalle bombe. Alla prima dogana glieli avevano fatti aprire, e lui era stato velocissimo a confonderli e a dare loro da controllare quelli al pomodoro anziché gli altre». Sonia Manzi, "Un pacato avventuriero", op. cit., p. 19.


Rivoluzionario nei modi e nei pensieri, lo si era capito, ma di fatto è stata una delle scoperte tanto impensata quanto straordinarie che regalano questo libro.


Rai Educational del 20/08/2010
"TV BUONA MAESTRA": la lezione di ALBERTO MANZI (parte 3/3)



Una sorpresa che non va a scapito del farsi quotidiano del volgersi della vita di un uomo che, in linea col suo pensiero, non amava essere chiamato Maestro.
Nel libro non mancano, infatti, i racconti dell'infanzia, i frammenti della vita privata, l'esperienza del primo insegnamento nel carcere A. Gabelli di Roma, i trent'anni trascorsi come maestro della scuola elementare Fratelli Bandiera di Roma dove conobbe Sonia, l'opera di pedagogo e la lotta indefessa nel difendere i bambini dall'essere oggetto di valutazioni scolastiche che li avrebbero segnati una volta per tutte (una battaglia combattuta contro la sordità dei superiori fino allo stremo delle conseguenze e a suon di timbri che riproducevano l'ormai divenuta famigerata scritta «FA QUEL CHE PUO', QUEL CHE NON PUO' NON FA», che andrebbe recuperata e riproposta con forza in una scuola dove l'interesse profuso nella formulazione della valutazione degli alunni viene ancora oggi, ostinatamente e tristemente, prima di ogni cosa e di ogni altra considerazione sul diritto alla crescita dei singoli bambini), insieme all'attività di traduttore e scrittore di grande successo, Orzowei (scritto nel 1955 è uno dei libri di letteratura italiana ancora oggi più tradotti al mondo), Grogh, la trilogia di El loco, La Luna nelle baracche, E venne il sabato, attività che Giulia analizza attraverso la luce di un critica puntuale e raffinata (che riprenderemo in parte nel prossimo post di Gavroche) e che lui stesso scelse di spiegare così:

QUESTO MI METTE D'IMBARAZZO 
(inedito)
in Giulia Manzi, op. cit., pp. 207-210


[...]
Dovrei parlare di me e questo mi mette in imbarazzo. Che dire? Che scrivo libri? Che insegno? Che faccio questo e quest’altro?… Ha forse un significato la mia storia? Forse lo hanno più i personaggi dei miei racconti: Grogh, Orzowei, Pedro, El loco… e loro parlano dai loro libri.
[...]
Mi chiede perché scrivo. Potrei dare risposte diverse. E forse sarebbero tutte vere e nello stesso tempo tutte false. Non so perché scrivo… Forse perché «vivo».
O lei vuole sapere perché affronto certi temi?
In questo caso la risposta è più facile: voglio far sorgere nei giovani la coscienza dei problemi (coscienza, non solo conoscenza), far sapere loro che esistono certi problemi e che ognuno di noi è chiamato a risolverli.
In fondo scrivo perché sono un rivoluzionario, inteso nel senso profondo della parola.
Per cambiare, per migliorare, per vivere pensando sempre che l’altro sono io e agendo di conseguenza, occorre essere continuamente in lotta, continuamente in rivolta contro le abitudini che generano la passività, la stupidità, l’egoismo.
La rivoluzione è una perpetua sfida alle incrostazioni dell’abitudine, all’insolenza dell’autorità incontestata, alla compiacente idolizzazione di sé e dei miti imposti dai mezzi di informazione. Per questo la rivoluzione deve essere un evento normale, un continuo rinnovamento, un continuo riflettere e fare, discutere e fare.
Gli altri sono io. Agire per realizzare questo principio…
Così scrivo nel tentativo di tenere questo spirito critico verso tutte le cose, anche verso quelle cose che sembrano già risolte ma che potrebbero essere migliorate.
Questa è la mia fede.
Il resto…

Leggo l’altra domanda: come scrivere per i ragazzi. Credo nello stesso modo con cui si scrive agli adulti: sono uomini anche i ragazzi, non sono una «sottospecie»… Penso che occorra credere in quel che si scrive, altrimenti non serve.

E poi… Nient’altro.
Cordialmente...

Alberto Manzi


Il libro prosegue con il racconto dell'esperienza degli ultimi anni di vita di Alberto Manzi come Sindaco della cittadina di Pitigliano, nella provincia di Grosseto dove viveva.
Pagine dolorose e amare che fino al termine dei suoi giorni lo hanno visto impugnare le armi dell'onestà, della lealtà, dell'impegno civile, della difesa dei più deboli, armi di pace che solo la malattia gli ha imposto di deporre, ma che la sua opera continua a distribuire.

Il tempo non basta mai, non è libro ma molti libri insieme e non poteva essere così nel raccontare la vita di un uomo che in un'unità posta sotto il nome di Alberto Manzi ha voluto accogliere molte vite: quella della sua famiglia, del numero infinito dei suoi alunni, degli insegnanti che ha saputo ispirare, delle persone liberate anche dalle sue lettere e dai suoi disegni, dei lettori che sono cresciuti tra le sue pagine e grazie alla sua luminosa pedagogia e, infine, quelle di coloro che lo hanno scelto come membro d'elezione della propria famiglia.

Gian Luca Favetto nell'articolo apparso su "ilvenerdì" di Repubblica del 24 gennaio scorso, ha definito Alberto Manzi, con Gianni Rodari, Mario Lodi e Don Milani, uno dei quattro Cavalieri della Pedagogia Italiana.

La lettera che vi metto qui a chiusura di questo limitato post rispetto alla complessità di questo Cavaliere è quella che egli scrisse nel 1976, al momento del congedo, ai suoi alunni di quinta elementare (documento conservato presso il Centro Manzi).
Un altro tassello.







Infine, un invito a venire a Mirandola in occasione della Rassegna "PENSARE" (11 - 13 aprile) dove, il 12 aprile alle ore 21.00, Giulia Manzi e Federico Taddia con Sonia Boni Manzi, intrecceranno le loro voci, i loro pensieri, le loro esperienze in occasione di "Le parole per educare a pensare: Alberto Manzi, un intellettuale rivoluzionario senza tempo", come è successo nella biografia appena uscita, e di cui vi ho parlato, Il tempo non basta mai. Alberto Manzi. Una vita tante vite appena pubblicata per mano di Giulia.


(clicca sopra per ingrandire)

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Un ringraziamento speciale a Giulia e Sonia Manzi, senza le quali questo post non sarebbe stato possibile ma, sopra ogni cosa, per avermi permesso di iniziare a condividere insieme a loro il lungo racconto di Alberto. E poi... 100 lire, la metà da spendere per un pezzo di pane da donare a un povero e l'altra metà per comprare un fiore per l'anima.

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