sabato 28 gennaio 2017

ETTY HILLESUM: PERCHÉ NON TU?


A Christine van Nooten 
[Presso Glimmen, 7 settembre 1943]  
Christine, apro a caso la Bibbia e trovo questo: «Il Signore è il mio alto ricetto». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall'Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche della mia ultima lettera?Arrivederci da noi quattro. Etty


Matteo Corradini,
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017
(pp. 128, € 20.00)


Questa cartolina postale, che Etty Hillesum buttò fuori dal vagone merci n.12 del treno che il 7 settembre del 1943 condusse lei e la sua famiglia da Westerbork ad Auschwiz, fu trovata lungo la linea ferroviaria e spedita da Glimmen (nella provincia di Groningen) il 15 settembre 1943. Questa cartolina, nel suo passare di mano in mano, alla fine è stata raccolta da Matteo Corradini che l'ha tenuta con sé, giusto il tempo di scrivere un nuovo racconto della vita di Etty, per poi riconsegnarla nelle mani di futuri giovani lettori: un biglietto per un viaggio senza ritorno scandito dal ritmo di dieci canzoni, tra un Addio e una Preghiera. Come un poema lirico.

Da 1.ADDIO
[…] 
«Forse nel vagone cantavamo proprio per dimenticarci di essere piccoli e messi all’angolo da una prova più grande di noi. Non mi sono mai sentita così fragile come in quel momento, ma quella canzone mi sorreggeva. Come le poesie di Rilke mi hanno sorretta e accompagnata fino a oggi.
Adesso mi siedo in terra e smetto di guardare fuori, e provo a pensare a quale fosse quella canzone, così per passare il tempo, perché tutto scorra più in fretta senza che nemmeno me ne accorga. Faccio viaggiare i miei pensieri al posto del treno, vorrei mi portassero via loro su altri binari, sulle righe del pentagramma di una canzone punteggiata di note, mentre il treno corre tra i fiori selvatici delle rive.
Nei pensieri contano altre cose, il tuo corpo è sempre leggero, i guai sempre più grandi, l’amore è forte e rosso, e nessuno guarda chi sei, se vai in sinagoga, se si nata ebrea. Nessuno nei pensieri bada se ti chiami Esther Hillesum, figlia dell’olandese Louis Hillesum e della russa Rivka Bernstein, ebrei entrambi. L’unica cosa che importa è se quelli che ti conoscono, prima o poi per semplicità o per confidenza, ti hanno chiamata Etty.» (Matteo Corradini, op. cit., pp. 19-20)  
[…] 

Matteo Corradini, 
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017



La coppia Levi (Louis) Hillesum, che insegnava lingue classiche, e Rivka (Rebecca) Bernstein, di origine russa era arrivata ad Amsterdam dopo il pogrom del 1907, si sposò nel 1912. Il 15 gennaio 1914 nacque a Middelburg Etty (Esther), la prima di tre fratelli: Jaap (Jacob, nato nel 1916 a Hilversum) e Mischa (Michael, nato nel 1920 a Winschoten). Con la sua famiglia seguì gli spostamenti lavorativi del padre e abitò a Tiel (1916-1918), a Winschoten (1918-1924) e dal luglio del 1924 a Deventer, dove passò l'adolescenza. Etty si laureò in giurisprudenza all'Università di Amsterdam, l'ultima città dove abitò, al numero 6 della Gabriel Metsustraat. Si iscrisse anche alla facoltà di Lingue Slave, ma a causa della guerra dovette interrompere i suoi studi. Concluse invece il percorso di Lingua e Letteratura russa, e negli anni successivi impartì sia lezioni private che lezioni di russo presso l'Università popolare di Amsterdam. All'inizio della guerra si interessò della psicologia analitica junghiana, grazie al lavoro del fondatore della psicochirologia Julius Spier che conobbe il 3 febbraio 1941 come paziente, divenendo in seguito la sua segretaria e al quale fu legata da un’intensa relazione. Nel luglio del 1942, nel momento dell’inasprimento delle leggi razziali e l’inizio delle deportazioni degli ebrei olandesi, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico era esentata dall'internamento nel campo di transito Westerbork (dove transitarono anche Edith Stein e Anne Frank), ma decise di condividere fino alla fine la sorte del suo popolo dedicandosi all'assistenza sociale. I genitori e i fratelli Mischa e Jaap furono internati tutti a Westerbork. Il 7 settembre 1943 tutta la famiglia, tranne Jaap, fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Mentre i genitori (il 10 settembre 1943), Etty (il 30 novembre 1943) e Mischa (il 31 marzo 1944) morirono ad Auschwitz, l'altro fratello, Jaap, perse invece la vita a Lubben, in Germania, dopo la liberazione, il 17 aprile 1945, durante il viaggio di ritorno nei Paesi Bassi.




Etty Hillesum

Ventinove anni di vita rischiano di essere fissati nei tratti di poche righe di biografia.

Eppure, Etty Hillesum ci ha lasciato un Diario e le sue Lettere che si rivelano ancora oggi una fonte inesauribile di studio e riflessione teologica e filosofica.



A differenza di Anne Frank, però, le memorie di Etty furono pubblicate per la prima volta rispettivamente solo nel 1981 e nel 1985, in forma parziale e nel 1986 in forma originale e critica. [l'editore Adelphi ha seguito ogni passo delle pubblicazioni, fino alle ultime: il Diario Edizione integrale 1941-1942 (2012) e le Lettere Edizione integrale 1941-1943 (2013)]
Sul ritardo con cui l'attenzione è stata posta su una figura di testimone della Shoah così preziosa e un'intellettuale così luminosa, al fianco di Simone Weil e Edith Stein, in altro ambito vicina ad Hannah Arendt e Maria Zambrano, si sono interrogati studiosi di ogni genere. Il motivo, con diverse declinazioni, risiede proprio nella forza del suo pensiero, uno dei più originali, tangenziali e rivoluzionari, integrali e per questo ancora vividi e utili, del Novecento.

Che cosa si conosce, con che cosa ci si confronta, leggendo Etty Hillesum?


Per prima cosa, l'orrore dello sterminio nazista e il suo crescendo di disumana ordinaria ferocia che Etty racconta in presa diretta nel ritmo del trascorrere delle ore e dei giorni dal 1941 al 1943, come abbiamo visto. A questo proposito, come avverte Nadia Neri nel saggio a lei dedicato, leggendo e scrivendo di Etty «è facile cadere nella tentazione di sottolinearne soltanto la spiritualità o l’atteggiamento di fronte alle persecuzioni naziste; in questo modo il lettore viene indirettamente facilitato a non porsi troppe domande e a sentire una distanza incolmabile tra sé e la Hillesum, un esempio troppo eroico e unico per mettersi in discussione. Ma questo è l’esatto contrario di ciò che Etty ha voluto con tutte le forze con la sua scrittura. Possiamo provare a tranquillizzare la nostre coscienza considerandola una santa, ma Etty è stata una giovane donna normale, una giovane donna ebrea che si è trovata a vivere all’età di ventisette anni l’orrore della Shoah.» (Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori, Milano, 1999, p.2)

Sarà per sfuggire dalla depressione, eredità materna di cui soffriranno sia lei che i due fratelli, che Etty si rivolgerà al psicochirologo Julius Spier, spesso riconosciuto con la sola S. nei suo scritti,  che come nessuno altro influenzò la vita della giovane Etty. Di ventotto anni più grande di lei, fu anche maestro, amico, amante. A lui si deve l'incontro di Etty con se stessa, come donna e come intellettuale o, meglio, l'imperativo di essere e realizzare se stessa e il suo precorrere i tempi sull'emancipazione femminile, il suo amare libero, anche Pa Han, il proprietario della casa dove viveva, un percorso affettivo sempre sottoposto a interrogativi e mai quieto, sempre senza sensi di colpa o di peccato. Etty cercava e viveva l'amore come spinta vitale, indistintamente nella sua declinazione emotiva, passionale e spirituale.
Anche in questo è stata una figura unica tra le testimonianze della Shoah.


Da 2.CANZONE DELL'ALBERO
 
[...]

Strofa
Sotto un albero ho dato il più bel bacio della mia vita. Ci eravamo seduti là sotto, io e Julius. Ci guardavamo da tanto tempo, da troppo, così lui si è voltato più forte verso di me e mi ha baciata. Un bacio a cui ho risposto subito e volentieri. Quel giorno era così bello che nessuna bella parola lo avrebbe reso migliore. Era così bello che non serviva arrampicarsi per sentirsi parte del cielo.
Tornata a casa, ho preso un quaderno e ho cominciato a scrivere il mio diario più importante. Me lo aveva suggerito Julius: sapeva che mi avrebbe fatto bene come una ciliegia rubata o un panorama visto dall’ultimo ramo. O come un bacio. (Matteo Corradini, op. cit., p. 30)

[...]   

Matteo Corradini, 
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017


Etty aveva fretta, non solo di vivere la vita, e quindi l'amore, aveva urgenza di conoscere e Spier fu colui che le permise di fare anche questo: l'incontro con la psicologia analitica junghiana, la lettura dei testi biblici, de Le Confessioni di Sant'Agostino, degli evangelisti, soprattutto Matteo, si devono a lui. E poi Tolstoj, Puskin, Cechov, Dostoevskij, Bakunin e insieme e su tutti, il poeta prediletto di Etty: Rainer Maria Rilke.

18 maggio 1942, di sera, dopo cena
"[...] Oggi ancora: Michelangelo e Leonardo. Anche loro sono ella mia vita, e la riempiono. Dostoevskij e Rilke e sant'Agostino. E gli Evangelisti. Frequento un'ottima società. "

Venerdì 26 giugno 1942
"Il mio più grande maestro in questo periodo, oltre S., è stato Rilke. Egli non è soltanto un sollievo durevole quando il mio lavoro è terminato, ma riempie i miei giorni ed è parte del mio essere. Un'intera generazione dovrà scoprirlo di nuovo. Ed è così vero ciò che dice Lou Andreas del suo amico: «Questo poeta ipersensibile aveva un lato vigoroso. la sensibilità non può mai volgersi in debolezza (come egli è talvolta accusato di aver fatto) quando la sua base è la forza. Ed egli è forte e coraggioso, quest'uomo sensibile»."

È interessantissimo leggere tra le pagine del Diario le intere trascrizioni, le note, i commenti di Etty, essi rendono conto, pagina dopo pagina, del farsi della sua formazione intellettuale e della sua ricerca morale.
Etty non aveva ricevuto un'educazione confessionale dai suoi genitori, ma laica. 
Eppure fu il suo essere ebrea a deciderne la vita, ma è evidente che non appartenne a un'unica chiesa. Lesse, tra gli altri, i testi sacri di ogni religione, il Corano, oltre alla Bibbia e al Talmud, il Tao te ching e i canoni buddisti, i mistici cristiani e questo, studiando i molti saggi a lei dedicati, sembra essere uno dei motivi per cui per molto tempo non è stato portato alla luce, pubblicato, il suo pensiero.
La sua è una testimonianza di fede unica e universale, come l'ha definita Klass Smelik: «Il suo esempio di vita va al di là della tolleranza, per esprimere un bisogno di vivere Dio ben oltre le pareti costrittive di una singola confessione, in uno spazio spirituale ideale da essere condiviso con molte persone».

Ma ciò che fa di Etty una forza originaria del mistero della vita è il suo costante e fermo bisogno di non odiare. Necessità che condivide con Julius Spier.



15 marzo, le nove e mezza di mattina

"[...] Ieri pomeriggio abbiamo scorso insieme le note che mi aveva dato. Quando siamo arrivati alla frase : basta che esista una sola persona degna di essere chiamata tale, per poter creder negli uomini, nell'umanità, m'è venuto spontaneo buttargli le braccia al collo. È un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l'animo. Espressioni come: «che anneghino tutti, canaglie, che muoiano col gas», fanno ormai parte della nostra conversazione quotidiana; a volte fanno sì che uno non se la senta più di vivere di questi tempi. Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatorio, simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d'erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo  intero".


Ed è questa necessità di non odiare, insieme a quella di aiutare Dio e cogliere la sua manifestazione nella bellezza che si  può scorgere in ogni circostanza, che più di ogni altra cosa può mettere in crisi chi si accosta al suo pensiero. Etty si chiedeva e ci chiede ancora oggi di estirpare il male che si cela - prima che in in ogni altro luogo o persona - dentro di noi. 



Di responsabilità dell'essere umano, parla Etty, dal cuore dei uno degli eventi più tragici della storia e non credendo in un Dio onnipotente manifesta l'urgenza di un nostro aiuto in suo soccorso, perché un giorno saremo giudicati per aver permesso che tutto quello che è accaduto e accade potesse succedere e ripetersi.


Lettera a Han Wegerif, 24 agosto 1943 da Westerbork
"Se penso alle facce della scorta armata in uniforme verde, mio Dio, quelle facce! Le ho osservate una per una dalla mia postazione nascosta dietro a una finestra, non mi sono mai spaventata tanto come per quelle facce. Mi sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale della mia vita. «E Dio creò l'uomo a sua immagine». Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile".

20 giugno 1942, Sabato sera, mezzanotte e mezzo

"Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra."

Julius Spier morì il 15 settembre del 1942, la vigilia del giorno in cui la Gestapo lo andò a cercare per deportarlo nel campo di Westerbork.


Da 3.CANZONE DEL RITRATTO 
[...] 
Variazione
Finivi le tue lettere, sempre, con un punto di domanda. Forse ti amavo anche per questo, S, perché al tuo amore non mettevi mai una fine, lasciavi aperta la speranza di rivedersi e parlarne ancora, che è la bellezza di ogni domanda: vediamoci, dai, parliamone ancora, dai, ho ancora voglia di ascoltarti.
Dai. (Matteo Corradini, op. cit., p. 38) 
[...]

Matteo Corradini, 
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017



Le virtù che vengono riconosciute a Etty Hillesum sono certamente tre dei numerosi motivi per cui è un privilegio fare la sua conoscenza e un impegno far sì che i bambini e i ragazzi abbiano la possibilità di iniziare, a loro modo, ad avvicinarsi a lei:

L'INDIGNAZIONE, la prima, è quel sentimento forte che deve guidarci a testimoniare con gesti e parole chiare contro tutte le ingiustizie, le persecuzioni, le manifestazioni di intolleranza, le guerre con tutti gli orrori che esse si portano dietro e così via.L'indignazione è per Etty il sentimento alternativo all'odio perché, a differenza di questo, non ha alcuna carica distruttiva e non ha in sé il seme che genera l'annientamento in una catena continua. Si deve provare indignazione e si deve in continuazione stare in guardia perché, a livello psicologico, l'odio è sempre in agguato. È più facile odiare, paradossalmente: così si delimita nettamente il campo e il nemico (un individuo o un gruppo esterno) è solamente fuori di noi. L'indignazione, in Etty, è la virtù di non volersi assuefare alle ingiustizie, del non diventare vittime dell'indifferenza e dell'impotenza, che potrebbero giustificare così il nostro disinteresse e la nostra passività. 

LA SEMPLICITÀ, a sua volta, non coincide con una sprovveduta ingenuità, a cui di frequente il termine rimanda, ma con un modo di vivere globale che sappia mettere l'essenziale al primo posto, tanto nelle capacità espressive quanto nelle azioni. La semplicità si accompagna così alla chiarezza e può contribuire a rendere la nostra testimonianza di vita limpida ed esemplare. La semplicità è perciò una virtù difficile da acquisire e soprattutto da praticare, «è una capacità dello spirito, una delle più grandi», nota Dietrich Bonhoeffer in una lettera a Elisabeth Bethge dell'11 agosto 1944 scritta dal carcere di Tegel (Berlino). Essa è perciò un difficile punto di arrivo e non di partenza. Per Etty la semplicità riguarda anche lo scrivere, la ricerca di uno stile essenziale e diretto; ci aiuta anche a scoprire il silenzi, tra una parola e l'altra, come dice emblematicamente in un passo. Silenzio e semplicità non solo vanno insieme, ma sono due dimensioni che possono arricchirsi reciprocamente. 

LA COMPASSIONE,  l'ultima, la virtù più alta e più nota, ma non per questo la più praticata, specialmente oggi: qui la nomino nel senso etimologico del termine , cum pati, "soffrire insieme"; in Etty questa virtù viene indicata con un'espressione emblematica: «il cuore pensante della baracca», lo scopo principale e più alto della sua vita. Questa espressione esplicita il senso della parola "compassione", nella quale riescono a unirsi sentimento e pensiero, entrambi indispensabili per assumere quell'atteggiamento che è il più intriso di religiosità e il più arduo da acquisire. La compassione è accettare di vivere su di sé il dolore del mondo, quel dolore che alcuni vogliono rimuovere, altri non riescono a sopportare, altri ancora non vogliono neppure vedere; non ha nulla a che fare con il masochismo, perché ha in sé uno scopo vitale, di alto valore psicologico e spirituale. È necessario che alcuni riescano a vivere interiormente la compassione, a essere «un cuore pensante», perché solo partendo da una consapevolezza del dolore che passa anche attraverso il cuore, si può sperare che le forze distruttive non prendano il sopravvento nel mondo. (Nadia Neri, op. cit., pp. 20-24)

Il curatore del Diario, Jan Geurt Gaarlandt, nella sua introduzione, scrive che «la vita di Etty sta tutta tra le parole che annotò giovedì 10 novembre 1941: «Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura.», e le parole di venerdì 3 luglio 1942: «Bene, accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall'altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato.»


Da 9.CANZONE DELLA LUNA 
[...] 
Ritornello

Quando domani partiremo all’alba, ho sentito dire, potremo piangere solo tre volte a testa. Tre volte? Sì, solo tre volte. Tre volte e non di più. 

Strofa

Stiamo facendo i bagagli. È quasi notte e metto le poche cose che mi sono rimaste. Per cosa piangerò, domani, se ho solo tre possibilità? Una volta potrei piangere per la mia camicetta, che mi ricorda gli abbracci di S e la mia vita là fuori, l’aria che ti riempie il petto quando vai forte in bicicletta tra ponti e canali e molli il manubrio come per volare. Mi mancherà tutto quanto vivevo là fuori: le prime lacrime verranno da questa grande nostalgia. […] 

Strofa

Tre volte. Una per la nostalgia, l’ho già detto, la seconda per come sto. In tanti qui mi confidano le loro preoccupazioni. Sento dentro di me le angosce del campo, le paure delle persone di Westerbork che si staccano dai cuori altrui per entrare nel mio con una forza che non riesco a contenere abbastanza. Sto male. Mi sento piena dei miei dolori e di quelli degli altri. […] 

Strofa

Una per la nostalgia, una per come sto. E per cosa piangerò la terza volta? Piangerò forse pensando a dove ci portano. Piangerò perché le ore che passano mi spaventano per quanto sono vuote di tutto. Non riesco a riempirle neppure con quel briciolo di speranza che mi tiene in vita. So come andrà perché me lo hanno raccontato. Le rassicurazioni dei tedeschi non valgono nulla. Ci disperderanno nell’aria come polvere. La luna illuminerà quello che rimane di noi. (Matteo Corradini, op. cit., pp. 92-97) 
[...]


Matteo Corradini, 
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017

Lunedì mattina, 20 ottobre 1941


"Dentro di me c'è una melodia che a volte vorrebbe tanto essere tradotta in parole sue. Ma per mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma di nuovo una musica dolce e malinconica". 
"A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole". 
"A volte sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì a volte qualunque parola accresce i malintesi, su questa terra troppo loquace".

Io credo, e penso di non averlo scritto poche volte, che raccontare la vita delle persone, la vita degli altri, sia una delle cose più difficili che si possano affrontare in scrittura.
Raccontare queste vite esemlari, restituirne la complessità e l'unicità ai bambini, ne fanno un'impresa ancora più ardua. La casa editrice rueBallù, giunta ormai al quindicesimo titolo della collana illustrata "Jeunesse ottopiù", che la ha valso il premio Andersen 2016 per il miglior progetto editoriale, ha fatto di questa sfida un elemento caratteristico della propria identità. E, finora, ha dimostrato non solo di averla vinta, ma di saperla padroneggiare nel lungo periodo, come dicevo, sorprendendo ogni volta con progetti mai scontati che trovano lettori là dove altri altri non hanno saputo intravvederli.

La vita di Simone Weil raccontata da Guia Risari (qui, in Gavroche) o quella di Emily Dickinson da Beatrice Masini sono due degli esempi di ciò che intendo dire chi dimostrano l'estrema cura con cui ci si può rivolgere ai giovani lettori. 

Matteo Corradini ha fatto altrettanto ricomponendo un pezzo di quella melodia interrotta che la stessa Etty non riusciva ad ascoltare dentro di sé, restituendo ai lettori la potenza rivoluzionaria della sua autenticità. Introduzione, strofa, ritornello, variazione, silenzio... c'è qui ogni momento della vita di Etty, rivisto e ricantato insieme a chi sfoglierà le pagine del libro.
Una partitura condivisa con Vittoria Facchini che irrompe tra le parole con l'originalità delle sue tavole, come se l'intimità condivisa della canzone popolare fosse intercalata dall'improvvisazione della musica jazz. 
E forse così è stata anche la vita di Etty, in un certo modo.

Quello che ne è uscito è un libro per ragazzi, certo, ma anche per adulti, per chi non conosce la vita di Etty e per chi la conosce già ma non l'ha ancora vista da quella prospettiva. Un libro, che potrebbe essere usato, da mani sapienti, per un intero anno scolastico, tanto ha da dire e da mostrare.

Perché alla fine di tutte le pagine scritte da Etty, ciò che si sente forte e limpido è un unico richiamo, quello che avvicinandola facciamo così fatica ad ascoltare: che siamo noi, nel quotidiano delle nostre vite, guardando la luna, a continuare la sua opera. 
Come mi disse il mio professore di Filosofia morale, Pier Cesare Bori, quando rimasi incantata da questa giovane donna olandese: "va bene Etty, ma perché non tu?"-

Da 11. CANZONE DELLA CASA 
[...] 
Se sopra di te c'è un cielo, sei a casa. Rincasai con la coperta  sottobraccio e quelle parole nella testa, senza pensare che mi avrebbero sostenuto così tanto, qui a Westernbork. Nelle notti più buie ma limpide, ho sempre aperto la porta della baracca per mettere fuori la testa e guardare il cielo. Pregavo che ci fosse ancora, che non fosse crollato com'era invece crollata mezza Europa, e vedendo che stava ancora là, con tutte le stelle al proprio posto, rientravo con un senso di sollievo che mi aiutava a meditare e a prendere sonno. Richiudevo la porta come fosse la porta di casa mia, qualcosa che possiedo e che non mi ospita semplicemente perché è mia. È il mondo ed è la mia casa: che differenza fa? (Matteo Corradini, op. cit., pp. 113-114) 
[...]

Matteo Corradini, 
Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni,
illustrato da Vittoria Facchini,
rueBallu Edizioni, collana Jeunesse ottopiù, Palermo, 2017




NOTA SUGLI AUTORI

Nato nel 1975, Matteo Corradini è ebraista e scrittore. Pubblica con Rizzoli, Salani, Einaudi Scuola. Dottore in Lingue e Letterature Orientali con specializzazione in lingua ebraica, si occupa di didattica della Memoria e di progetti di espressione. Dal 2003 fa ricerca sul ghetto di Terezin, in Repubblica Ceca, recuperando storie, oggetti, strumenti musicali. È tra i curatori del festival scrittorincittà (Cuneo). Ha fondato la Pavel Zalud Orchestra. Prepara conferenze musicali e regie teatrali. Tra i suoi ultimi libri, la cura del Diario di Anne Frank (BUR Rizzoli, 2017), Annalilla (Rizzoli,2014), La repubblica delle farfalle (Rizzoli, 2015), Improvviso scherzo notturno (rueBallu, 2015).


Vittoria Facchini vive e lavora a Molfetta in uno studio invaso da luce, matite, carte, vasetti di colore e pennelli. Dopo gli studi d'arte, si sposta a Firenze per specializzarsi in Grafica Pubblicitaria ed Editoriale e poi a Venezia, dove l'incontro con Emanuele Luzzati segnerà più di tutti la sua scelta di illustrare. Ha pubblicato all’estero (Francia, Giappone, Portogallo e Corea) e con molti editori italiani (Fatatrac, Mondadori, Einaudi Ragazzi,Feltrinelli, Giannino Stoppani, Editoriale Scienza, Art'è, Editori Riuniti, Treccani). Nel 2002 il Ministero per la Cultura Francese l'ha scelta tra i 60 autori invitati a rappresentare l'Italia al Salone del Libro di Parigi.  Nel 2006 ha vinto il Premio Andersen come migliore illustratrice dell'anno. Tra i suoi ultimi libri, Mare matto, con testo di Alessandro Riccioni (Lapis, 2016), Quel mostro dell'amore (Fatatrac, 2015), Filoscuola, con testo di Sabrina Giarratana (Nuove Edizioni Romane, 2015).

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